Lo sappiamo: crescere non è facile perché molte sono le insidie e i compiti che spettano ai giovani esseri umani. In particolare, il percorso attraverso cui si diventa uomo è spesso violento e poco rispettoso delle soggettività dei bambini e dei ragazzi e, come mostrano sempre più le notizie di cronaca, prende forma nel bullismo omofobico.
Ma qual è il ruolo dell’educazione e della pedagogia? Cosa possono fare i professionisti e le professioniste per accompagnare i bambini e i ragazzi?
Uomini: si nasce o si diventa?
Il genere maschile è un prodotto culturale, «un assemblaggio fluido e in continuo cambiamento di significati e comportamenti» (Torrioni, 2014, p. 44). Diventare uomini è l’esito di percorsi possibili, diversi da persona a persona, e non è correlato ad un preciso orientamento sessuale.
La nostra cultura, però, sovrappone e confonde tra loro il sesso biologico (maschio/femmina), l’identità di genere (uomo e/o donna; cfr.: Money e Ehrhardt, 1972), il ruolo di genere (i modelli di comportamento attesi; cfr. Ruggieri e Ravenna, 1999) e l’orientamento sessuale (l’attrazione emotiva, romantica e sessuale; cfr. APA), in realtà ben distinte tra loro: questo comporta l’idea che chi nasce maschio è sicuramente uomo ed eterossessuale (o, per negazione, non è né donna né omosessuale).
Parafrasando Simone de Beauvoir (1961), però, si può dire che «uomo non si nasce, lo si diventa».
I compiti di crescita del maschile: differenziarsi dal femminile e allontanare l’omosessualità
La nostra cultura prevede che l’identità maschile si formi attraverso un percorso aggressivo che ha come fulcro la necessità di differenziarsi dal mondo femminile, collocato nell’ambito simbolico della passività (anche sessuale) e della debolezza. Tutto ciò viene esteso all’omosessualità maschile poiché ritenuta non virile e pericolosa per la mascolinità: la concezione del maschio, allora, viene correlata alla richiesta incessante di confermare lo stereotipo del maschio che è solamente uomo e solamente eteresessuale. Per questo, consciamente o meno, di proposito o meno, cresciamo i bambini tramite pratiche e significati legati ad un’idea di uomo stereotipata: ciò scoraggia e sacrifica l’educazione e la promozione del riconoscimento, dell’elaborazione e dell’espressione emotiva, ritenute “femminili” e quindi negative (Prati e Pietrantoni, 2010).
Il Bullismo Omofobico come performance del maschile
Prestiamo attenzione: il bullismo omofobico non è uno dei tanti tipi di bullismo ma costituisce un percorso peculiare (Burgio, 2017) perché:
- si gioca nel rapporto intramaschile (cfr.: Kite, 1994);
- è legato agli stereotipi di genere che cancellano le differenze individuali (Gelli, 2009) e rendono giustificabile la discriminazione basata sull’orientamento sessuale (Morin e Garfinkle, 1978);
- è difficile vederlo perché si lega a stereotipi e pratiche educative largamente (spesso inconsciamente) condivisi, quindi pervasivi e latenti: per questo le vittime faticano a trovare figure di sostegno e protezione (Shaw et al., 1994; Gore et al., 1997 e Lingiardi, 2007);
- è una performance legata alle dinamiche di costruzione dell’identità e della virilità maschile (Burgio, 2017): é espressione di tensioni interiori e sociali legate alla costruzione dell’identità sessuale.
L’educazione di genere. Cos’è e cosa può fare?
- È pratica educativa articolata e trasversale capace di rintracciare e valorizzare la ricchezza e la diversità (di corpi, di orientamenti sessuali, di esperienze, di modalità di stare al mondo, di costruzione del proprio sé);
- promuove modelli di relazione positivi, permette lo sviluppo del pensiero critico e della consapevolezza rispetto agli stereotipati modelli di genere;
- ha il mandato di creare un’educazione e una didattica non (inconsapevolmente) discriminante;
- ha il mandato di costruire un luogo dove tutti possono esprimere se stessi e costruire un percorso personale di crescita e di formazione, sia bulli che bullizzati poiché entrambi vittime di un contesto biografico di costruzione delle identità sessuali tratteggiato da pesanti e pervasivi stereotipi.
I vari ambiti educativi e i professionisti, dunque, si trovano in una posizione centrale, privilegiata e di grande responsabilità, in bilico tra il rischio di rinforzare gli stereotipi dominanti e la possibilità di destrutturarli.
Tale cambiamento culturale per essere reale e radicale non può più essere demandato ad iniziative singole (del singolo professionista e/o della singola istituzione) dettate dalla sensibilità, dalla competenza e dal buonsenso di chi le promuove: si necessita di una buona formazione per tutti i professionisti e le professioniste (sia nozionistica, sia in termini di consapevolezza delle proprie teorie di riferimento e dei propri sistemi di significazione) e un apparato legislativo adeguato1(le iniziative legislative, oltre che incoraggiate, andrebbero rese più complesse e attente alle dimensioni di carattere preventivo2).
Contrastare le violenze non significa e non implica insegnare qualcosa di nuovo ai bambini e ai ragazzi o – come sostengono molti/e – trasformarli in ragazze o in cose/persone che non siano già. Implica impegnarsi affinché il concetto di uomo sia davvero reso complesso e multiforme, significa rispettare i bambini e i ragazzi, significa aiutarli a restare o a ritornare ad essere quello che già sono, ad essere fedeli al loro sé.
Chiara Merisio
Come sottolinea Mannara (2012), attualmente il sistema giudiziario italiano non è in condizione di limitare penalmente atti di omofobia (e, dunque, di bullismo omofobico) se non sacrificando le loro specificità per agganciarli a figure di reato i cui aspetti oggettivi e soggettivi non risultano pienamente attinenti. Solo recentemente, a fronte di un lungo lavoro, la Regione Emilia-Romagna ha approvato la legge regionale n. 15 del 1/08/2019 “Legge regionale contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”
Tra le conseguenze più preoccupanti ci potrebbe essere una non-reale presa in carico della problematica e una non-reale problematizzazione della stessa: di fatto, quindi, la creazione di un semplice rattoppo. Il caso recente della legge n. 69 del 19 luglio 2019 in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere (denominata “Codice Rosso”) ne è un chiaro esempio: le modifiche apportate al codice penale e al codice di procedura penale, infatti, non accennano alla prevenzione del reato. La violenza di genere viene assunta come un dato di fatto che, al massimo, si può punire ma non bloccare a monte
Bibliografia
Burgio, G. (2012). Adolescenza e violenza. Il bullismo omofobico come formazione alla maschilità, Mimesis, Milano-Udine
Gelli, B. (2009). Psicologia della differenza di genere. Soggettività femminili tra vecchi pregiudizi e nuova cultura, Franco Angeli, Milano
Morin, S. e Garfinkle, E. M. (1978). “Male Homophobia”, in Journal of Social Issues, vol. 34, Issue 1, pp. 29-47
Prati, G. e Pietrantoni, L. (2010). “Bullismo omofobico: prospettive teoriche e dinamiche psicosociali”, in Prati, G.; Pietrantoni, L.; Buccoliero, E.; Maggi, M., Il bullismo omofobico. Manuale tecnico-pratico per insegnanti e operatori, Franco Angeli, Milano, pp. 21-64
Torrioni, P. M. (2014). “Genere e identità: la costruzione sociale del maschile e del femminile nella società complessa”, in Venera, A. M., Genere, educazione e processi formativi. Riflessioni teoriche e tracce operative, edizioni Junior, Parma, pp. 37-64
Sitografia
Ordine degli Psicologi – Consiglio Nazionale (2015). Nota dell’AIP sulla rilevanza scientifica degli studi di genere e orientamento sessuale e sulla loro diffusuone nei contesti scolastici italiani: http://www.psy.it/comunicati-stampa_old/allegati/2015-09-08-comunicato-stampa.pdf