Quanto fa male integrarsi?

Spesso capita che si crei una distanza tra come una parola, un concetto o un argomento vengono utilizzati in ambito accademico e come vengono percepiti e a loro volta impiegati nella vita di tutti i giorni. Non si tratta di essere più o meno bravi o preparati a capire le cose, anzi: quando si creano incomprensioni o fraintendimenti intorno ai concetti significa che è fallito «il passaggio dalla complessità alla semplicità» e non è riuscita la sostituzione con «una complessità meglio intellegibile a un’altra che lo era meno» [Lévi-Strauss, 2015:258]. 

Quando un termine come quello di “integrazione” passa dal contesto sociologico-antropologico a quello dell’uso quotidiano, qualche trasformazione nel significato potrebbe avvenire. Assumere questa prospettiva quando si parla di questa parola potrebbe essere utile per comprendere i motivi dell’attuale crisi migratoria, declinata sotto vari aspetti: umanitaria, sociale, economica, identitaria.

L’Italia e la Grecia possono essere due ottimi esempi per evidenziare questa situazione, essendo due nazioni che si sdraiano sul Mar Mediterraneo e considerabili come la prima mano che si tende verso chi abbandona l’Africa e il Medio Oriente, dato che si trovano ad essere la frontiera meridionale dell’Unione Europea e quindi di una comunità che dovrebbe permettere una circolazione delle persone più semplice all’interno dei propri confini. Tuttavia, «costruita sulla promessa di valori liberali universali, l’UE vacilla sull’orlo della disintegrazione, a causa di questioni come l’integrazione e l’immigrazione» [Harari, 2018:208].

Le migrazioni, inevitabilmente, portano all’incontro con persone e culture diverse, che talvolta possono sembrare in opposizione o contrasto con quelle che si trovano nel luogo di arrivo e «in effetti, in ogni contatto tra culture, è alla cultura in posizione dominata che sono richiesti gli sforzi maggiori e più urgenti di re-invenzione. (…) Assolutamente certi di se stessi e della loro cultura, per i dominanti non c’è nulla da “re-inventare”, nulla da comprendere sul piano pratico» [Sayad, 2002:126]. Da qui la crisi, quella che non lascia tempo per pensare, ma solo agire in fretta, o meglio, reagire alle difficoltà che ogni volta si presentano.

Quella dell’immigrazione è una crisi che si protrae da decenni, tanto che il suo carattere emergenziale diventa difficile da accettare. 

Allora, un modo diverso per affrontarla potrebbe essere attingere dal significato che la parola “crisi” assume in Antropologia: con essa si identifica quel momento specifico nei riti di iniziazione o di passaggio, quando un individuo entra a far parte di un gruppo (es: da adolescente ad adulto), in cui si deve affrontare una prova in cui si deve affrontare un dolore, fisico o psicologico e «in cui si costringono i giovani a prendere coscienza di cosa stanno per diventare (…) ed è un modo per obbligare ad assumere, da parte dei giovani, una presa di coscienza critica rispetto alla società in cui dovranno svolgere la loro vita da adulti» [Remotti, 2018:206-207]. Questo perché il dolore aiuta a uscire fuori di sé, osservarsi, pensarsi, rientrare nel proprio corpo e trovarsi cambiati, cresciuti, migliorati: «perché il dolore, perché bisogna far soffrire per costruire esseri umani?» [Allovio, 2009:49] perché c’è bisogno di «una sorta di documentazione e di certificazione autenticata dall’avvenuto cambiamento (…): il dolore più acuto, un’indimenticabile esperienza di sofferenza rappresentano momenti di “crisi” – di frattura, di rottura – da cui emerge in modo vivido un moto di consapevolezza» [Remotti, 2013:208]. 

Questa è la parte “positiva” della crisi, quella che contribuisce a far diventare gli uomini tali, a costruire l’umanità.

È una parte un po’ dimenticata, forse ignorata, perché difficile, perché particolarmente dolorosa, e se non esistono analgesici sufficientemente forti per affrontarla, ad oggi si preferisce evitarla per quanto più tempo possibile. La crisi dovuta allo sforzo di integrarsi potrebbe provocare l’apertura di uno spazio nel quale poter ripensare questo concetto e tutto ciò che ne consegue. 

Come detto all’inizio, parlando di distanze tra significati e usi delle parole, non si può far altro che notare che si è formata una distanza siderale tra quella che è la riflessione accademica e il sentire comune: la conseguenza è un’ulteriore disintegrazione, quella del sapere. Purtroppo, è sempre più difficile cambiare punto di vista e mettersi nei panni degli altri, poiché la tendenza è quella di frequentare luoghi fisici o virtuali «dove ci si scambia informazioni che si autoconfermano, e la propria presunzione di sapere viene costantemente rafforzata e raramente verificata [Harari, 2018:318].

L’incomunicabilità tra aree disciplinari e l’esclusione dalla discussione di chi “non è del mestiere”, ha reso più difficile una narrazione lineare e non sensazionalistica dei fatti del mondo. Al contrario, «il mondo sta diventando sempre più complesso, e la gente non riesce proprio a comprendere quanto sia all’oscuro di quello che sta accadendo» [Ivi, 2018:317].

La presupposta integrità della propria cultura, e l’ancora più presunta integrità di quella degli altri, sono le chiavi di volta per comprendere i tormenti e i terremoti sociali contemporanei; «quando si riconosce la complessità umana, si comprende che non si può fare banalmente della politica come se noi fossimo dei puri oggetti economici, misurati dal PIL o dalla crescita» [Morin, 2016:23].

Elena Garbarino

 

Bibliografia

Allovio, S., (2009) “Violenza, dolore e memoria nei riti di iniziazione”, in Bacchetti P., e Beltrami V. (a cura di), Afriche. Scritti in onore di Bernardo Bernardi, Roma, Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente, pp. 47-61.

Harari, Y., N., (2018), 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, Firenze-Milano

Lévi-Strauss, C., (2016), Il pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Milano

Morin, E., (2016), 7 lezioni sul pensiero globale, Raffello Cortina Editore, Milano

Remotti, F., (2013), Fare umanità. I drammi dell’antropo-poiesi, Laterza, Roma-Bari

Sayad, A., (2002), La doppia assenza, Raffaello Cortina Editore, Milano

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