Nel marzo del 2019 a Verona si è tenuta la tredicesima edizione del Congresso Mondiale delle Famiglie nel corso del quale si sono riuniti ai movimenti globali antiabortista, antifemminista e anti-LGBTQI, nonché capi di stato ed esponenti politici da tutto il mondo. Il tema centrale discusso durante il corso del Family Day è stato quello riguardante la naturalità della famiglia composta da un uomo e da una donna uniti in matrimonio, bollando come nocive tutte le nuove forme di famiglia.
Lo stesso articolo 29 della Costituzione italiana recita «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare», ponendo in stretta relazione società naturale e matrimonio. Una simile concezione può essere anche riscontrata agli albori degli studi di antropologia culturale, infatti, Bronislaw Malinowski riteneva che la monogamia fosse «il modello e il prototipo del matrimonio» e che essa «è, è stata e rimarrà l’unico vero tipo di matrimonio» e che perciò «ovunque noi andiamo, troveremo sempre il nostro tipo di famiglia» [Malinowski 1929a: 404; 1929b:950].
Le critiche a questa interpretazione sono state molteplici e, tra le più significative, vi è quella di Sylvia Yanagisako [1979]. L’antropologa mostra come il concetto di famiglia nucleare (composta da padre-madre-figli) venga associato erroneamente all’idea di «unità di base» e «unità naturale» di qualsivoglia società; tale peccato interpretativo consiste nel presupporre come indiscutibile una costruzione storica e culturale diffusa nell’occidente.
Spostandoci ad esempio tra i Nayar del Malabar dell’India meridionale la “nostra” categoria di famiglia cozzerebbe contro la realtà dei fatti.
In questo caso ci troveremmo di fronte ad un gruppo coeso di fratelli e sorelle, i quali convivono nella stessa casa e cooperano sia in campo economico sia nell’allevamento dei figli. Questi figli non sono il frutto di un amore incestuoso, in quanto fortemente proibito persino l’evocare il tema del sesso, bensì l’esito di un fugace incontro tra amanti. Tra i Nayar è infatti presente la figura del visiting husband (il marito visitatore), cioè un coniuge socialmente riconosciuto che però non si traduce in convivente; così, se il cibo viene consumato con i fratelli, l’attività procreativa spetta agli estranei al gruppo domestico [cfr. Cai, 1997]. Ogni tentativo di costruire una relazione stabile e continuativa con un partner esterno viene categoricamente rifiutata dal gruppo di appartenenza: «i Nayar potranno iniziare un procedimento legale contro il fratello che avesse passato troppo tempo presso il partner di un altro gruppo» [Cuturi, 1988:55]. Anche nel caso di eventuale paternità, l’amante non può rivendicare nessun diritto nei confronti del figlio in quanto non è concepita alcuna figura paterna [Ibidem].
A partire da questo esempio alquanto diverso dal nostro contesto, la domanda sorge spontanea: che cos’è quindi la famiglia?
Una delle più interessanti chiavi di lettura sul tema è stata fornita da Marshall Sahlins che individua il nucleo centrale dei legami di parentela nella reciprocità dell’essere, piuttosto che nella consanguineità [cfr. Sahlins, 2013]. Questa mutualità dell’esistenza descrive, infatti, la parentela come un gruppo di persone che, partecipando intimamente gli uni alle vite degli altri, condividono le medesime esperienze esistenziali.
Alla luce di ciò diventano evidenti le varie sfumature della parentela che oscillano dalla pura biologia fino alla pura capacità performativa, passando per gradazioni intermedie. Così, se la consanguineità è uno dei tratti ai quali, anche oggi, si ricorre molto spesso per legittimare i legami di parentela, non è l’unico; infatti, nella nostra società è possibile costruire una parentela e una discendenza legalmente tramite l’adozione. Queste soluzioni alternative alla costruzione della parentela si accostano così a quelle argomentazioni che riconoscono ancora oggi, in maniera fallace, il primato delle relazioni di sangue lasciando degli strascichi nell’idea di “famiglia standard” individuabile nella struttura padre-madre-figli. Tuttavia, queste molteplici tipologie di famiglia sono delle costruzioni emiche prodotte da processi storici, sociali e culturali.
Fermo restando questo aspetto di relativismo culturale, è possibile dare una definizione di famiglia? E soprattutto, come si potrebbe descrivere la parentela?
Per tentare di fornire una risposta a queste domande si può ricorrere alle Ricerche filosofiche di Ludwig Wittgenstein, nelle quali affermava come nel definire che cosa siano ad esempio i giochi non emerge un elemento comune e ricorrente, ma una serie di tratti somiglianti. Infatti, confrontando i diversi giochi fra loro si delinea una “rete complicata di somiglianze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda” che Wittgenstein definisce come «somiglianze di famiglia» [cfr. Wittgenstein, 1980:47]. Così, ciò che determina l’appartenenza di un certo numero di individui a una famiglia non è il possesso comune di un tratto, ma l’inserimento in una rete di somiglianze che si sovrappongono e incrociano. Proprio per questo diventa inevitabile abbandonare «il presupposto che debba esistere un elemento o un nucleo di elementi costanti in base al quale definire [una classe di oggetti]» [Remotti, 1984:148]. Così anche il definire che cosa sia la famiglia comporta lo sfumare di confini certi e già tracciati, che in realtà sono provvisori e disegnati in relazione ai nostri scopi.
L’affermazione di una presunta naturalità tra le molteplici forme familiari risulterebbe tanto critica quanto impensabile, in quanto si cercherebbe di legittimare un costrutto culturale che si costruisce e dissolve a seconda dei tempi e dei luoghi. Se i Nayar avessero conquistato il mondo probabilmente considereremmo contro-natura chi si definisce padre, se i Nymba del Nepal avessero colonizzato l’Europa le “nostre” donne sarebbero sposate con almeno due fratelli, mentre «se tra poligamia e monogamia evitassimo di mettere in mezzo Dio, con le sue imperscrutabili preferenze, […] più facilmente e più umanamente potremmo vedere le due categorie trasformarsi o sfumare l’una nell’altra» [Remotti, 2010:86].
Bibliografia
Cai, H., Une société sans père ni mari. Les Na de Chine, Presses Universitaires de France, Paris, 1997
Cuturi, F., I fratelli indispensabili. Conflitti tra natolocalità e matrimonio, Bagatto, Roma, 1988
Malinowski, B., “Kinship”, in Encyclopaedia Britannica, vol. XIII, The Encyclopaedia Britannica Company, London, 1929(a)
Malinowski, B., “Marriage”, in Encyclopaedia Britannica, vol. XIV, The Encyclopaedia Britannica Company, London 1929(b)
Remotti, F., Centri, capitali, città, Giappichelli, Torino, 1984
Remotti, F., Contro natura. Una lettera al Papa, Laterza, Roma, 2010
Shalins, M., La parentela: cos’è e cosa non è, Eleuthera, Milano, 2013
Wittgenstein, L., Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, 1980
Yanagisako, S., “Family and Household: The Analysis of Domestic Groups”, in Annual Review of Anthropology, VIII, 1979