Ci sono bambini che a casa presentano un comportamento comune, tipico dell’infanzia: sono allegri e chiacchieroni, scherzano, giocano ma poi a scuola diventano silenziosi, non parlano e non giocano con nessuno. Questa condizione, molto vicina alla fobia sociale, viene definita “Mutismo Selettivo”: un termine troppo spesso ignorato anche dai “professionisti dell’educazione”. Per tale ragione e per fornire un sostegno alle famiglie che vivono questo disagio, in Italia è stata fondata l’Associazione Italiana Mutismo Selettivo (AIMUSE): un’organizzazione di volontariato nata per iniziativa di un gruppo di genitori di bambini affetti da tale disturbo (http://www.aimuse.it).
Ma cosa si intende per “Mutismo Selettivo”?
Il Mutismo Selettivo è “un disturbo complesso legato all’ansia, caratterizzato dall’impossibilità per un bambino di esprimersi e comunicare in modo rilassato in alcuni contesti sociali, in particolar modo nella scuola” (Shipon-Blump, 2010, p.11).
In realtà nasce con il nome “Afasia volontaria” (Kussmaul, 1877 citato da Capobianco, p.212) e descrive il comportamento di una persona che si oppone volontariamente alla parola. Il nome del disturbo evolve poi in “Mutismo elettivo” (Tramer, 1934 citato da Capobianco, p.212). Entrambi i termini però tendono ad attribuire al disturbo una volontarietà da parte del bambino a non comunicare.
E’ soltanto con l’ultima versione del manuale DSM IV TR – APA 2000 – (manuale che raccoglie e definisce i disturbi mentali) che, oltre a definire quali siano i criteri diagnostici del disturbo definito con il nome di “Mutismo Selettivo”, si osserva un cambiamento di prospettiva, passando dal concetto di rifiuto della parola che si attribuiva alla problematica all’idea di incapacità di parlare ed esprimersi in determinati contesti.
I criteri diagnostici
I criteri diagnostici che permettono di comprendere se il bambino presenta Mutismo Selettivo tratti dal DSM-5 sono:
- Costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche in cui ci si aspetta che si parli (per es. a scuola), nonostante si sia in grado di parlare in altre situazioni.
- La condizione interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione sociale.
- La durata della condizione è di almeno 1 mese (non limitato al primo mese di scuola).
- L’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conosce, o non si è a proprio agio con il tipo di linguaggio richiesto dalla situazione sociale.
- La condizione non è meglio spiegata da un disturbo della comunicazione (per es., disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia) e non si manifesta esclusivamente durante il decorso di disturbi dello spettro dell’autismo, schizofrenia o altri disturbi psicotici ( Biondi, 2014).
Nella maggior parte dei casi, i bambini con Mutismo Selettivo si sentono soli, isolati dal resto del mondo, chiusi nel loro silenzio, mortificati e demoralizzati dal fatto che nella loro mente si sia formata l’idea che tutti gli altri riescono a “far uscire fuori le parole”, a comunicare con disinvoltura e loro no. Inoltre, a destabilizzarli e disorientarli maggiormente è Il fatto di non capire perchè le parole escono quando sono a casa, rilassati, e non riescano a uscire invece in altre situazioni.
I bambini colpiti da questo disturbo sono molto spesso bambini fragili, ipersensibili e ricettivi, che trovano difficoltà nel parlare a causa di un esasperato stato d’ansia.
Di solito i primi sintomi, che compaiono tra 1 e 3 anni di età, sono la timidezza, il rifiuto di parlare in alcune situazioni, un comportamento riservato, etc. ma spesso il disturbo viene riconosciuto in modo chiaro solo dopo l’inizio della scuola dell’infanzia o della scuola primaria ovvero dopo che il bambino si trova a dover affrontare situazioni in cui ci si aspetta che tutti usino il linguaggio verbale. Prima della scuola, i genitori del bambino e le figure che lo circondano non notano di solito alcun problema significativo, poiché egli parla normalmente in casa. Se rimane silenzioso oppure ha un atteggiamento riservato in presenza di adulti, estranei alla famiglia, raramente questo comportamento viene considerato anormale o allarmante; più semplicemente il bambino è considerato “timido”. Quando inizia la scuola, il comportamento muto è similmente considerato un segno di timidezza, si ritiene che sia una breve fase che passerà con il tempo: idea supportata spesso dalla mancanza di conoscenza del disturbo da parte degli insegnanti. Quando l’anno scolastico procede e il mutismo persiste, allora il comportamento silenzioso viene evidenziato, e si inizia a pensare di ipotizzare possibili strategie di intervento (https://www.aimuse.it/cose-il-mutismo-selettivo)
Quali strategie adottare?
La diagnosi precoce, una buona collaborazione tra genitori e insegnanti e l’apporto di figure specialistiche, può permettere la completa risoluzione sintomatologica in un tempo relativamente breve.
Spesso i genitori si rivolgono ad uno psicologo ma “frequentare” il bambino in uno spazio neutro non è sufficiente in quanto la sua principale difficoltà sta nel gestire l’ansia in contesti sociali, primo fra tutti: la scuola.
L’obiettivo principale (o almeno iniziale), dunque, non è propriamente far parlare il bambino, ma consentirgli di sentirsi più rilassato e a suo agio con gli adulti che lo circondano. Diventa fondamentale, infatti, che scuola e famiglia programmino un lavoro condiviso d’equipe per aiutare il bambino a superare il MS, da mettere in pratica gradualmente negli ambiti della sua vita quotidiana.
Per tale motivo, pur riconoscendo che per la diagnosi di MS non è obbligatorio redigere un Piano didattico personalizzato (P.D.P.) sarebbe sempre e comunque utile farlo perché in esso vengano stilate le modalità operative da attuare in classe, per favorire il benessere del bambino e per aiutarlo a progredire. Una strategia educativa di intervento, ad esempio, può essere l’introduzione di interrogazioni scritte al posto di quelle orali oppure quella di evitare domande troppo aperte (Rezzonico, Iacchia, Monticelli, 2018): strategie pensate e proposte dall’insegnante in modo da non far sentire, però, il bambino “diverso”.
A tale proposito è bene ricordare che il mutismo selettivo rientra pienamente nella definizione dei Bisogni Educativi Speciali poiché fa parte dei disturbi d’ansia ed inoltre, spesso, esiste una comorbilità tra MS e i disturbi del linguaggio e dell’apprendimento.
Risulta così utile affiancare all’insegnante di sostegno la figura di un educatore: una persona di riferimento che, proprio in virtù del suo approccio, possa essere di supporto e fonte di sicurezza per il bambino, gli permetta di gestire meglio il disagio e l’ansia oltre a poter favorire la comunicazione all’interno della classe, individuando i coetanei più adatti con cui farlo giocare, promuovendo anche la comunicazione non verbale così che tutta la classe possa ampliare le modalità espressive, prendendo coscienza di quelle più confacenti alle singole personalità, sperimentandole nella duplice ottica di conoscere queste possibilità e acquisire maggiore sicurezza di sé. L’educatore lavorerà soprattutto a livello emotivo e sociale: con la sua “vicinanza” farà sentire il bambino compreso e accolto nonostante il suo vissuto ansioso e lo porterà ad essere consapevole di non essere solo. Lo aiuterà a rafforzare la sua autostima, ad acquisire fiducia e maggior senso di sicurezza in presenza di altri, affinché possa riuscire a raggiungere buoni risultati, imparando a gestire situazioni di stress, diminuendo l’ansia e sbloccando la persistenza di mutismo.
In conclusione, poiché la qualità della relazione insegnante – allievo è un fattore decisivo per uno sviluppo soddisfacente di abilità sociali ed emotive (Longobardi, 2008) e per un miglior impegno e rendimento scolastico (Quaglia, 2011), ed essendo evidente che l’ansia rappresenta un vero e proprio impedimento sia all’apprendimento sia alla socializzazione, preoccupazione prioritaria della scuola deve essere quella di creare un clima sereno, accogliente, non giudicante, nel quale stimolare l’interazione sociale individuando.
Bibliografia
Shipon-Blum E. (2010), Comprendere il mutismo selettivo. Guida per genitori, insegnanti e terapeuti. Edizioni La Meridiana
Capobianco M. (2009), “Il mutismo selettivo: diagnosi, eziologia, comorbilità e trattamento”, in Cognitivismo Clinico Vol.6 211-228
Biondi M. (2014), DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Cortina editore
Longobardi C. (2008), “Valutare la relazione insegnante – allievo: metodi e strumenti”, in Età Evolutiva n.116
Rezzonico, Iacchia, Monticelli (2018), Mutismo selettivo. Sviluppo, diagnosi e trattamento multisituazionale, Franco Angeli
Quaglia R., Longobardi C. (2007), Psicopatologia dello sviluppo. Teorie, modelli e concezioni, Centro Studi Erickson
Ouvrir La Voix, Kit Ecole. Programma d’introduzione progressiva della parola nell’ambiente scolastico per i bambini affetti da mutismo selettivo (2012), A.I.Mu.Se
Sitografia