Ossitocina: ormone dell’amore o della xenofobia?

L’ossitocina è un ormone ipotalamico in grado di stimolare le contrazioni uterine (Yang, 2013) e che, nel corso degli ultimi decenni, ha catturato l’attenzione dei neuroscienziati per via dei suoi interessanti effetti sul comportamento prosociale umano, stimolando numerosi esperimenti volti ad indagarne le proprietà psicologiche.

Ricerca dopo ricerca si è scoperto come esso sia in grado di ridurre l’ansia, abbassando i livelli ematici di cortisolo (Gordon, 2008), rendere gli individui meno aggressivi, elicitare la fiducia e favorire l’empatia (Kosfeld, 2005), nonché di aumentare l’amore che un individuo nutre verso la bandiera del proprio paese (Xiaole et al, 2014). Inoltre, si è trovato che nelle coppie formatesi da poco i livelli ematici di ossitocina possono raggiungere picchi altissimi e prevedere, con sorprendente accuratezza, la possibilità di instaurazione di un legame solido e duraturo nel tempo  (Schneidermann, 2012). 

Questa serie di scoperte ha indubbiamente favorito la credenza, ormai consolidata nell’immaginario collettivo, che l’ossitocina sia unicamente un ormone dell’amore.

Un’esauriente spiegazione delle modificazioni comportamentali di quest’ormone, tuttavia, non può essere raggiunta se non tenendo conto anche della sua capacità di esacerbare tendenze opposte a quelle di fiducia, amore o empatia. L’ossitocina può favorire la tendenza umana a tracciare una linea di demarcazione tra noi e loro, tra l’in-group, il gruppo al quale apparteniamo e l’out-group al quale, invece, appartengono gli altri. (De Dreu, 2010)

Le radici storiche della dicotomia noi/loro affondano nel pionieristico lavoro condotto da Henri Tajfel sui gruppi minimali, divenuto in seguito il programma di ricerca fondamentale nel panorama della psicologia sociale. Tajfel divideva i suoi soggetti  sperimentali in due gruppi in maniera casuale, sulla base di caratteristiche superficiali come la preferenza per i dipinti di Kandinskij o di Klee, per poi osservare come questi formassero spontaneamente un sentimento di appartenenza per il proprio in-group ed una percezione dell’out-group come peggiore e contrapposto al proprio (Tajfel, 1970). Nasce da questo presupposto la Social Identity Theory, secondo cui l’identità sociale di un individuo non si forma attraverso la relazione fisica o l’interdipendenza con gli altri, ma si edifica grazie alla consapevolezza dell’appartenenza ad una categoria sociale.

Il paradigma dei gruppi minimali ha dunque dimostrato che il fondamento della prosocialità risiede nell’identificazione ad un gruppo: i soggetti sperimentali non tendono quasi mai a distribuire risorse egualmente all’interno dei due gruppi ma scelgono, con estrema naturalezza, di fornire ad anonimi membri del proprio in-group una più vasta percentuale di risorse di quanta ne offrirebbero all’out-group. (Tajfel, 1974)

Risultati ancora più recenti dimostrano la sorprendente rapidità con cui i nostri cervelli riescono a formare dicotomie noi/loro: 

solo 50 millisecondi di esposizione al volto di un individuo appartenente a un’altra etnia bastano ad attivare l’amigdala, implicata nelle risposte emotive di paura (Hugenberg, 2003). Il giro fusiforme, area deputata all’analisi dei volti, si attiva con maggiore intensità solo davanti a un viso appartenente alla propria etnia (Golby, 2001). L’ormone dell’amore, d’altro canto, può esacerbare la dicotomia noi/loro favorendo l’emergere di una mentalità che è fondamentalmente etnocentrica. (Bartz, 2011; De Dreu, 2011)

A dimostrazione di quanto accennato, una serie di esperimenti condotti da De Dreu e colleghi (2011) sembra avvalorare la tesi che vuole l’ossitocina come un ormone ambivalente, capace di esacerbare tanto i rapporti altruistici quanto i rapporti competitivi e le discriminazioni. I partecipanti all’esperimento, tutti olandesi, dovevano svolgere un Moral Choice Dilemma Task, che implica la scelta tra due alternative poco desiderabili (come il sacrificio di una persona anziché di cinque). Metà di loro aveva assunto ossitocina, mentre l’altra metà aveva assunto un placebo. Ciascuno di loro veniva poi assegnato casualmente alla condizione target in-group o a quella target out-group: nel primo caso il soggetto da sacrificare aveva un nome tipicamente olandese, mentre nel secondo il nome del soggetto era tipicamente arabo. È stata rilevata una evidente correlazione tra l’assunzione di ossitocina e il sacrificio del target out-group per salvare cinque anonimi individui. La medesima correlazione non è emersa nel caso dei soggetti che avevano assunto un placebo.

Il team di ricercatori ha rilevato la presenza di una accentuata tendenza all’etnocentrismo, cioè a percepire il proprio gruppo come superiore agli altri, che viene alimentato dagli stereotipi connessi al bias di omogeneità dell’out-group e conduce infine ad atteggiamenti di pregiudizio, xenofobia e violenza intergruppo. Dal momento in cui l’etnocentrismo favorisce anche cooperazione, coordinazione e fiducia reciproca verso il proprio gruppo di appartenenza, l’autore ipotizza che «l’atteggiamento etnocentrico possa essere modulato dall’ossitocina» [De Dreu, 2011]. I soggetti che hanno preso parte all’esperimento sono stati assegnati, tramite procedura casuale, al gruppo sperimentale o a quello di controllo, assumendo ossitocina in un caso o un semplice placebo nell’altro. Entrambi, in seguito, hanno svolto un compito al computer chiamato Implicit Association Test, che tenta di rilevare atteggiamenti verso categorie target attraverso la rapidità con cui queste vengono associate a stimoli positivi o negativi. I risultati dimostrano chiaramente che i soggetti del gruppo sperimentale manifestano più frequentemente delle forme di etnocentrismo e di favoritismo verso l’in-group, corroborando l’ipotesi secondo cui l’ossitocina sia in grado di elicitare distorsioni inter-group che conducono verso l’etnocentrismo e il favoritismo del proprio gruppo. (De Dreu, 2011)

Scoperte di questo tipo fanno vacillare una volta per tutte la concezione dell’ossitocina, da tempo sedimentata nell’immaginario comune, come di un ormone dell’amore indiscriminato e della fiducia universale, suggerendo invece un quadro più complesso, una natura ambivalente. Che si tratti della solidità di un amore coniugale o dell’emergere dei conflitti tra gruppi e della discriminazione razziale, l’ossitocina gioca un ruolo cruciale nell’intensificare tanto il meglio quanto il peggio di ciò che l’animale sociale è in grado di compiere.

Antonio Donato

Info

 

 

 

Bibliografia

Bartz, (2011), “Social effects of oxytocin in humans: context and person matter”, in Trends in Cognitive Sciences, Vol.15

Gordon, I., (2008), ”Oxytocin and cortisol in romantically unattached young adults: Associations with bonding and psychological distress”, in PubMed, 45(3)

De Dreu, C.K., (2010), Oxytocin modulates cooperation within and competition between groups: an integrative review and research agenda, in Hormones & Behaviour, 61(3)

Golby, et al, (2011), “Differential Responses in the Fusiform Region to Same-Race and Other-Race Faces”, in Neuropsychologia, 49(13)

Hugenberg, et al, (2003), “Facing Prejudice: Implicit Prejudice and the Perception of Facial Threat”, in SAGE Journals

Kosfeld, et al, (2005), “Oxytocin Increases Trust in Humans”, in Nature, 435

Schneiderman, I., et al, (2012), ”Oxytocin during the initial stages of romantic attachment: relations to couples’ interactive reciprocity”, in PubMed, 37(8)

Tajfel, H., (1970) ”Experiments in Intergroup Discrimination”, in American Scientific

Tajfel, H., (1974) ”Social Identity and Intergroup Behavior” in SAGE Journals

Yang, H.P., (2013), “Nonsocial functions of hypothalamic oxytocin”, in ISNR Neuroscience

Xiaole, et al, (2014), Oxytocin increases liking for a country’s people and national flag but not for other cultural symbols or consumer products, in Frontiers in Behavioral Neuroscience, vol.8

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