Cyberbullismo: dal senso di inadeguatezza allo stato di diritto

Non più “solamente” minacce, offese, derisioni, di persona. Ora, con un discutibile utilizzo di internet e dei telefoni cellulari, la violenza può avvenire in ogni momento della giornata, 24h su 24h, e la vittima è spesso da sola, senza la possibilità che qualcun altro possa intervenire, e con la paura di diffusione e condivisione a catena delle offese. È questo quello che vive chi è vittima di cyberbullismo

Con questo termine si intende «qualunque forma di pressione, aggressione, molestia,   ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto di identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni,  realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo» (L.71/2017).

Questi episodi sono sempre più frequenti e drammatici; si stima infatti che un adolescente su cinque abbia subito comportamenti offensivi, non rispettosi e/o violenti almeno una volta all’anno (Dati Istat 2019). Che cosa – allora – si può fare e cosa può essere importante conoscere, come professionisti dell’educazione?

Il cyberbullismo e il senso di inadeguatezza

L’adolescente è «colui che cerca con lealtà e masochista devozione una verità attraverso le rappresentazioni che a lui sono proposte dalle molteplici relazioni significative della sua vita» (Charmet, p. 34, 2000). Questa definizione può essere probabilmente generalizzata a tutti gli individui, in quanto ciascuno cerca anche attraverso gli altri, come fossero uno specchio di sé, le conferme alla propria identità, costruendola e ridefinendola (Levinas, 2002).

Quando però si subiscono discriminazioni, quando si ricevono insulti e offese sul proprio conto, il rischio di aderire unicamente a quanto viene detto è alto, ed è questo quello che può succedere a chi subisce ripetuti atti di cyberbullismo. La vittima tende a identificarsi esclusivamente con le parole e gli insulti ricevuti, e le conseguenze di questa violenza possono generare stati di ansia, depressione, un forte senso di inadeguatezza, autolesionismo, fino ad arrivare anche all’atto estremo del suicidio (Kowalski, 2012). Inoltre spesso la vittima tende a celare la situazione, a rinchiudersi in se stessa, e a colpevolizzarsi, sentendosi inadeguata e completamente sola.  

Che cosa si può fare allora?

Come professionisti dell’educazione, allora, può essere importante aiutare la vittima a modificare l’attribuzione di significato alla situazione (Bruner, 1992), provando a capire che non è sola e inadeguata, ma anzi che è un suo diritto venire tutelata e non essere discriminata. In questo senso, il tentativo è quello di provare a modificare la percezione della realtà circostante, non vedendola unicamente come una minaccia, ma come luogo e fattore di protezione.

È questo infatti quello che si legge nell’articolo 3 della Costituzione:

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (Art.3 Cost.)

Di fatto, questo articolo tutela già ciascuna persona da qualsiasi discriminazione. Allo stesso tempo però, poiché gli episodi di cyberbullismo sono emersi assiduamente negli ultimi anni, è entrata in vigore nel 2017 una legge specifica: la L.71/2017. Con questa, vengono definite le linee di orientamento e prevenzione all’interno delle scuole, promuovendo progetti di prevenzione rispetto al fenomeno, e allo stesso tempo viene chiarito in che modo si può intervenire. Attualmente, inoltre, è stata presentata una proposta di legge (pdl 1524) per incrementare il legame tra la scuola e i servizi sociali rispetto alla prevenzione del fenomeno, e per istituire un numero telefonico gratuito per fornire un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica alla vittima. 

Innanzitutto, si può chiedere al gestore del sito internet di oscurare, rimuovere, e bloccare i contenuti. Se entro 24 ore non si riceve risposta, si può inviare una segnalazione al garante per la protezione dei dati personali (cyberbullismo@gpdp.it), che provvederà immediatamente alla rimozione.

Inoltre, su un piano legislativo, si può inviare inizialmente una richiesta di ammonimento al Questore, che provvederà a convocare l’aggressore invitandolo a cessare i comportamenti in oggetto. Se – diversamente – gli episodi continueranno, allora la vittima potrà presentare querela presso un’autorità giudiziaria, dichiarando dunque l’intenzione di voler procedere per via penale contro il colpevole.

A seconda della situazione, gli articoli del Codice Penale potranno fare riferimento a:

  • lesione personale (art. 582 c.p.)
  • diffamazione (art. 595 c.p.)
  • molestia e disturbo a persona (art. 660 c.p.)
  • minacce (art. 612 c.p.)
  • furto d’identità (art. 494 c.p.).

Qualora le accuse fossero confermate tramite processo penale, il colpevole nei casi più gravi potrà essere condannato fino a 3 anni di reclusione, e a pagare una sanzione fino a 1032€, oltre al risarcimento per danni nei confronti della vittima.

Un primo passo possibile

È chiaro che non è sufficiente il solo fatto di sapere di essere tutelati attraverso la legge, ma questo può essere un primo passo per iscrivere la situazione in un contesto differente, in cui la vittima non è più lasciata sola e si sente inadeguata, ma ha invece il diritto di non essere discriminata.

Chiaro è anche che, per un professionista dell’educazione, non sarà sufficiente solo far conoscere i diritti e le possibilità su un piano legislativo. Non può essere “solo”, ma “anche”. Perché, conoscendo “anche” il piano legislativo, si ha la possibilità di «riaffermare e costruire la nostra identità all’interno di una storia diversa che la contestualizzi» (Bruner, p.44, 1992), che non veda dunque il mondo intorno come un nemico, ma anzi come un possibile alleato.

E per poter lavorare anche su questo, l’invito – per ogni professionista dell’educazione – vuol essere quello di formarsi e conoscere anche il piano legislativo (Ferrante, 2016), così che si abbia consapevolezza del modo in cui poter – anche – intervenire.

Silvia Brambilla

Info

 

 

 

 

Bibliografia

Bruner, J., La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino 1992

Pietropolli, C. G., I nuovi adolescenti, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.

Ferrante, A., Materialità e azione educativa, FrancoAngeli Editore, Milano 2016.

Kowalski, R., Cyber bullying: bullying in the digital age, Wiley­Blackwell, Malden 2012

Levinas, E., Dall’altro all’io, Meltemi Editore, Sesto San Giovanni 2002

 Sitografia

Legge 71/2017 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/06/3/17G00085/sg

Articolo 3 Costituzione: https://www.senato.it/1025?sezione=118&articolo_numero_articolo=3

Pdl 1524 https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1189075.pdf?_1574329142625

Dati Istat 2019 https://www.istat.it/it/files//2019/03/Allegato-statistico-bullismo.pdf

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