Mutilazioni genitali femminili (MGF): sebbene questo termine stia progressivamente entrando nel nostro linguaggio e nel nostro immaginario grazie ai media e all’istituzione della Giornata Mondiale contro le MGF (6 febbraio), attorno ad esso aleggia ancora molta confusione e ignoranza. Ѐ per questo motivo che in Italia si sottovaluta la portata e i significati di questo fenomeno e, per estensione, l’importanza del lavoro educativo professionale nella prevenzione.
Cosa sono? Perché sono pericolose?
Le MGF sono un fenomeno composito tipico di alcune parti dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia che si sostanzia in tutte quelle pratiche che comportano il danneggiamento e/o la rimozione parziale o totale degli organi genitali femminili esterni senza una finalità terapeutica. Tali pratiche possono avere diverse caratteristiche in base a tipologia, modalità di intervento ed età della persona a cui vengono sottoposte (da pochi giorni di vita fino all’adolescenza).
Perché questa pratica viene ancora tramandata?
È la cultura che modella il corpo (Mauss, 1965; Héritier, 1997) e, come dimostrano gli studi di genere, il corpo femminile è lo spazio dove le società più esercitano il loro potere coercitivo e di controllo (Diasio, in Pizzini, 1999).
Nello specifico: (a) le MGF rendono visibile come la costruzione sociale dell’identità di genere sia inseparabile dal concetto di persona e dalla sua funzione nella collettività e (b) il corpo, venendo plasmato secondo uno specifico modello, assurge a luogo in cui prende corpo la ricerca di perfezione e di purezza di un gruppo sociale (Castiglioni, 2011).
Le MGF, quindi, non sono semplici fatti folkloristici e culturali ma pratiche e dispositivi biosociali per l’affermazione dell’identità culturale, che racchiudono anche istanze di tipo estetico, religioso, morale e valoriale. «La vera forza di questa pratica è quella di essersi profondamente […] intrecciata ad altri tessuti ancestrali» (Barbieri, 2005, p. 33), e la sua complessità spiega perché una pratica tanto dolorosa e umiliante venga tramandata: non volerlo fare significa rompere il contratto culturale che lega le donne alla comunità e, in prospettiva transgenerazionale, alle antenate (Castiglioni, 2011).
MGF: sono anche una questione italiana e una questione penale.
Le MGF costituiscono un problema per il nostro Paese poiché vengono praticate su bambine/ragazze immigrate o seconde generazioni che nascono, crescono e vivono qui; queste pratiche sono inflitte nel Paese d’origine prima della migrazione o in occasione di un viaggio, oppure direttamente in Italia (Barbieri, 2005).
Essendo una minaccia all’integrità psicofisica nonché una lesione volontaria con l’aggravante di essere inflitta ad una minorenne (Morrone e Vulpiani, 2004; Barbieri, 2005), le MGF costituiscono inoltre una questione penale, tant’è che si è reso necessario emanare la legge n. 7/2006 (cosiddetta “Legge Consolo”, recante le disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile).
Quali sono le sfide del multiculturalismo?
Il pluralismo che la nostra società sta vivendo è generativo di contaminazioni che ci spingono a rileggere e riconfigurare la nostra identità, individuale e collettiva. Questo processo è molto faticoso, soprattutto quando viene ostacolato da forme di chiusura e resistenza, spesso legittimate dalle istituzioni: ciò impedisce sia un approccio paritario verso tutte le persone (nello specifico, verso tutte le bambine/ragazze, nate in Italia e non), sia la possibilità di affrontare in maniera non ideologica, senza preconcetti, le sfide poste dal multiculturalismo (Silva, 2013).
Un’alternativa alle MGF è sensata e possibile?
Le difficoltà poste dalla multiculturalità e dall’intercultura sono evidenti nelle MGF che, infatti, vengono giustificate e lette (a) attraverso un’erronea interpretazione dell’islam, pensando che sia la religione ad imporle (Morrone e Vulpiani, 2004; Barbieri, 2005), (b) un approccio culturalistico che attribuisce loro solo un valore e un senso culturale e folkloristico, (c) un falso relativismo culturale e (d) attraverso l’assimilazione a pratiche manipolatorie diffuse in Occidente come circoncisione maschile e piercing (Silva, 2013).
L’Italia, infatti, ha mostrato grosse difficoltà nel riuscire a conciliare l’esigenza di garantire il principio di integrità fisica delle bambine/ragazze e l’esigenza di rispettare le specificità dei gruppi etnici. Invece di problematizzare davvero la questione, il dibattito tra il 2003/2004 è sfociato in un rifiuto non netto delle MGF e nella proposta di quello che sarebbe dovuto essere un rito simbolico alternativo di carattere preventivo che non avrebbe causato lesioni fisiche permanenti: la sunna rituale (Silva, 2013), una puntura sul clitoride che avrebbe fatto fuoriuscire alcune gocce di sangue in modo da sublimare l’infibulazione.
Pensare a delle alternative alle MGF è però paradossale perché comunque lesive dell’integrità psicofisica delle bambine/ragazze, soprattutto poiché cresciute e facenti parte del contesto culturale italiano. Come sottolinea Silva (2013), dietro a queste logiche di compromesso si nasconde l’idea che quello che vale per “noi civilizzati”, i “nostri” diritti, non possono ancora valere per “loro”, che probabilmente non li possono capire.
In un’ottica di pedagogia interculturale, ciò rendere evidente che: (a) al fine di mantenere salde le separazioni etniche, il culturalismo viene utilizzato al posto del dialogo interculturale; (b) non vengono in alcun modo considerate come parte della nostra società tutte queste bambine/ragazze; e (c) quello che vuole esser proposto come relativismo culturale, in realtà è un tentativo di celare un etnocentrismo che fatica a mettersi davvero in gioco.
Qual è il ruolo della pedagogia interculturale?
Conoscere e prevenire sono le azioni per combattere le MGF. Il posizionamento deontologico professionale e gli interventi educativi si devono pertanto poggiare su informazioni fondate, su un’idea di cultura intesa come realtà dinamica e dialogante, su un’idea di relativismo culturale come metodo e non come fine (opponendosi quindi ad una visione delle culture come universi chiusi e statici) (Silva, 2013) e su un’idea di dialogo come mezzo e non come fine della relazione (Silva, 2013).
Il proprium della pedagogia e del lavoro educativo professionale è quindi l’essere veicolo informativo e soprattutto preventivo in quanto mezzo privilegiato per l’osservazione dei territori nonché motore di trasformazione, di educazione. Insomma, il suo obiettivo è quello di generare nei servizi, nella società, un orizzonte condiviso entro cui affrontare le sfide della convivenza configurandosi, da un lato, come accompagnamento e motore di trasformazione della mentalità delle donne e delle famiglie immigrate (che, per altro, già fanno parte del “noi”), dall’altro come motore di trasformazione della cultura e della mentalità autoctona che teme la contaminazione e che non scorge possibilità di condivisione e comunicazione.
Bibliografia
Barbieri L. (2005), Amore negato. Società multietnica e mutilazioni genitali femminili, ANANKE, Torino.
Castiglioni M. (a cura di) (2011), Identità e corpo migrante, Guerini e Associati, Milano.
Fusaschi M. (2017), Guida multisettoriale di formazione accademica sulle mutilazioni/escissioni genitali femminili, a cura di A. Kaplan, L. Nuño Gómez, M. Thill, N. Salas Seoane, Editorial Dykinson, Madrid, p. 31.
Morrone A. e Vulpiani P. (2004), Corpi e simboli. Immigrazione sessualità e mutilazioni genitali femminili in Europa, Armando Editore, Roma.
Pizzini, F. (1999), Corpo medico e corpo femminile: parto, riproduzione artificiale, menopausa, Franco Angeli, Milano.
Silva C. (2013), “Mediare nella società multiculturale : il punto di vista della pedagogia interculturale sulle pratiche di MGF” in Urso E. (a cura di), Le ragioni degli altri: mediazione e famiglia tra conflitto e dialogo: una prospettiva comparatistica e interdisciplinare, Firenze University Press.