Migrante: Vittima o criminale? Una moderna dicotomia

La storia del bacino mediterraneo è alquanto complessa, fatta di continui scambi e incontri, oltre che di tentativi di prenderne il controllo da parte degli imperi del passato e non solo. Oggi, la realtà di questa porzione di mondo è determinata, agli occhi dei media, dal succedersi di flussi migratori, e quindi da numerose operazioni di Search and Rescue, che hanno influenzato slogan e retoriche xenofobe, nonché regressive, da parte di governi e partiti di ispirazione nazionalista e populista i quali sono giunti a criminalizzare persino il salvataggio di vite umane [cfr. David, 2019].

Ma come si è giunti a tutto questo?

Il fenomeno delle migrazioni può essere considerato a tutti gli effetti un «fatto sociale totale» [cfr. Mauss, 2002], ossia capace di coinvolgere la pluralità complessiva dei vari livelli sociali e delle dinamiche di una comunità. Allo stesso modo, rientrando tra i principali aspetti all’origine della formazione e dei cambiamenti della società, le migrazioni potrebbero essere pensate anche come “fatto politico totale”, quindi interpretabili e analizzabili nel quadro delle caratteristiche salienti dell’organizzazione politica della società [cfr. Palidda, 2008]. Ciò vuol dire, in sostanza, che non si possono comprendere le migrazioni senza capire i cambiamenti stessi della società. In tal senso, «le mobilità si situano nei giochi delle molteplici interazioni di questo processo conducendo a conflitti e a mediazioni. Sono quindi rivelatrici delle caratteristiche salienti della società di partenza, di quella d’arrivo e delle relazioni tra questi due poli» [Palidda, 2010:7].

Secondo Sayad [2002] le categorie attraverso le quali pensiamo il mondo e la società riflettono quelle nazionali e sono alla base del nostro stesso modo di concepire la realtà. In base a tale logica, pertanto, si può affermare che le nostre categorie di pensiero esercitano un’influenza anche sulle modalità attraverso il quale percepiamo e interpretiamo i fenomeni migratori e, quindi, i concetti stessi di “straniero”, “immigrato” o “rifugiato”. Ed è proprio quando gli Stati europei iniziano a farsi del tutto nazionali che il concetto di straniero subisce una trasformazione, diventando paradigma “dell’esclusione” politica parallelamente alla ridefinizione dei codici “dell’inclusione” e della cittadinanza su basi appunto nazionali [cfr. Sassen, 1999].

Non a caso, nell’analisi dei discorsi relativi ai fenomeni migratori trovano spazio sia quelli destinati alla selezione e all’inquadramento, sia quelli che giustificano e orientano le pratiche dell’esclusione, dell’ostilità e della persecuzione [cfr. Palidda, 2010].

Tali “discorsi”, intesi nell’accezione foucaultiana del termine, possono avere diverse caratteristiche:

Innanzitutto, nel dibattito pubblico e politico contemporaneo intorno alle tematiche migratorie se ne possono riscontrare una serie che fanno capo alla cosiddetta “ragione umanitaria”, che Fassin [2018] suggerisce di considerare come il prodotto della progressiva affermazione, nella sfera pubblica occidentale, di una soggettività politica fondata sui sentimenti morali, di ispirazione soprattutto cristiana e liberale, che avrebbe inglobato il discorso politico sino a cristallizzarsi in quello che si può considerare un vero e proprio “governo umanitario”. La logica umanitaria da una parte necessita di mostrare soggetti sofferenti e dall’altra di porre l’enfasi sulla comune appartenenza alla comunità umana. Viene sostituito il vecchio lessico della politica, incentrato intorno a espressioni come lotta, sfruttamento, diritti, giustizia sociale, con una nuova retorica che fa largamente uso di nozioni di tipo morale come “sofferenza”, “compassione”, “solidarietà” e a ciò che lo stesso Fassin definisce “ethos compassionevole” di stampo paternalistico [cfr. Fassin, 2006].

All’interno della dimensione umanitaria il migrante si costituisce come figura vulnerabile, riconosciuta solo in quanto vittima, “corpo sofferente” bisognoso di essere aiutato e salvato. Intorno al migrante si marcano infatti i contorni di una nuova economia, anch’essa morale [cfr. Fassin, 2009], retta su «un diritto che salva, cura, protegge, difende solo corpi umani» [Pandolfi, 2005]. Questo perché sulla sua esistenza agisce ciò che Foucault [2005] definisce “biopolitica”, ovvero una forma di potere che si afferma e si riproduce sulla “nuda vita” [cfr. Agamben, 1995] del migrante, sulla vita intesa come mera esistenza fisica e naturale. Paradossalmente, allora, la logica umanitaria finisce col produrre una sorta di disumanizzazione del migrante, in quanto egli è considerato una “persona a metà”, quasi che la sua vita dipendesse dal suo non “essere (più) nel mondo” [cfr. Agier, 2005]. Il migrante, in sostanza, è accolto e accettato non come soggetto avente una propria storia e dignità, ma appunto perché il prototipo della vittima da salvare e assistere.

In secondo luogo, il fenomeno delle migrazioni è stato spesso trattato negli ultimi decenni in stretta correlazione con l’emergere del cosiddetto «discorso securitario» [cfr. Wacquant, 2006], ovvero di quella retorica che inquadra un tema pubblico, come lo è appunto quello migratorio, in termini di minaccia, fino a giustificare l’adozione di misure che eccedono rispetto ai normali confini dei provvedimenti politici [cfr. Waever, 1995]. Il migrante costituirebbe un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato-nazione per via dell’associazione con tutta una serie di fenomeni criminali e di minacce, come ad esempio quelle legate all’aumento del disordine urbano e di episodi di criminalità comune o quelle dovute al crimine organizzato e al terrorismo internazionale. Inoltre, il migrante viene considerato una minaccia dal punto di vista politico-identitario, nel senso che metterebbe in pericolo l’integrità politica e la presunta identità etnica e culturale della società di destinazione. Infine, il migrante viene inteso come una minaccia di natura socio-economica, cioè in quanto concorrente illegittimo sul mercato del lavoro e profittatore dei benefici assistenziali offerti dai sistemi di welfare State dei paesi occidentali.

In questo senso, il tema sicurezza non fa altro che produrre “retoriche dell’esclusione” [Stolcke, 2000], che oggi abbondano nell’arena pubblica dei vari Stati nazionali e nelle relative politiche di chiusura delle frontiere e di restrizioni normative. Particolarmente decisiva per aver impresso un giudizio di valore negativo è stata ovviamente la categoria dell’immigrazione “irregolare”, nonostante la clandestinità non sia altro che il prodotto stesso di politiche sempre più restrittive in materia di ingresso e permanenza nel territorio di uno Stato e, di fatto, quella che dovrebbe rientrare nell’ordine di un’infrazione amministrativa finisce per divenire un crimine, nonché una vera e propria minaccia alla sicurezza.

Ed è proprio attraverso la retorica securitaria, dunque, che si realizza la “criminalizzazione” dello straniero, nella quale il migrante finisce per essere considerato un soggetto pericoloso e da stigmatizzare non tanto per la sua condotta quanto per la sua stessa esistenza. Egli diviene la rappresentazione emblematica del nemico di turno, un ruolo alimentato da discorsi che attraversano tanto i media quanto i luoghi del potere, fino a diventare senso comune della maggioranza. Tale processo di criminalizzazione si inscrive oggi in un assetto politico liberista/neo-conservatore fondato sull’asimmetria di potere e di ricchezza fra gli attori forti e i deboli senza diritti della società globalizzata, che è funzionale alla creazione di esseri umani ridotti allo stato di “non persone” [cfr. Dal Lago, 1999], costretti ad esistere in condizioni di marginalità e precarietà. Non a caso, se si esclude il reato di immigrazione irregolare, conseguenza di una legge proibizionista, gli altri reati attribuiti agli immigrati “sono quasi sempre i tipici reati dei poveri” [cfr. Mucchielli, Nevanen, 2009].

In conclusione, attraverso questa breve analisi intorno ai discorsi mainstream sui fenomeni migratori si è avuto modo di osservare come il dibattito pubblico e politico contemporaneo sembri incentrato quasi unicamente sulla contrapposizione tra narrazione umanitaria e narrazione securitaria, pertanto su un riconoscimento del migrante di tipo dicotomico. Egli è, in definitiva, vittima o criminale, corpo biologico da salvare o da criminalizzare, e quasi mai una persona completa dotata di una propria storia. 

Francesco David

Bibliografia

Agamben G., Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino, 1995

Agier M., “Ordine e disordini dell’umanitario. Dalla vittima al soggetto politico”, in Van Aken M. (a cura di), Rifugiati, “Antropologia Annuario”, vol. 5, n. 5, Meltemi, Roma, 2005

Dal Lago A., Non persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano, 1999

David F., “Un’umanità dis-umanizzata: dalla narrazione delle migrazioni alla criminalizzazione della solidarietà”, in “Dialoghi Mediterranei”, n.39, 2019

Fassin D., “Un ethos compassionevole. La sofferenza come linguaggio, l’ascolto come politica”, in Quaranta I. (a cura di), Sofferenza sociale, “Antropologia Annuario”, 8, Meltemi, Roma, 2006

Fassin D., Les économies morales revisitées , “Annales HSS”, 2009

Fassin D., Ragione umanitaria. Una storia morale del presente, DeriveApprodi, Roma, 2018

Foucault M., Nascita della biopolitica. Corso al collège de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano, 2005

Mauss M., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2002

Mucchielli L., Nevanen S., “Delinquenza, vittimizzazione e criminalizzazione degli stranieri in Francia”, in Palidda S., (a cura di), Razzismo democratico. La persecuzione degli stranieri in Europa, Agenzia X, Milano, 2009

Palidda S., Mobilità umane. Introduzione alla sociologia delle migrazioni, Raffaello Cortina, Milano, 2008

Palidda S., (a cura di), Il «discorso» ambiguo sulle migrazioni, Mesogea, Messina, 2010;

Pandolfi M., “Sovranità mobile e derive autoritarie: emergenza, urgenza, ingerenza”, in Malighetti R., Oltre lo sviluppo: le prospettive dell’antropologia, Meltemi, Roma, 2005

Sassen S., Migranti, coloni, rifugiati. Dall’emigrazione di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli, Milano, 1999

Sayad A., La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina, Milano, 2002

Stolcke V., “Le nuove frontiere e le nuove retoriche culturali dell’esclusione in Europa”, in Mezzadra S., Petrillo A. (a cura di), I confini della globalizzazione, Manifestolibri, Roma, 2000

Wacquant, L., Punire i poveri. Il nuovo governo dell’insicurezza sociale, DeriveApprodi, Roma, 2006

Waever O., “Securitization and Desecuritization”, in Lipschutz R. D. (a cura di), On Security, Columbia University Press, New York, 1995.

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