Giocare non è solo una cosa per bambine e bambini: per continuare a crescere anche quando si è “grandi”, è necessario impiegare il proprio tempo anche attraverso il gioco. Il gioco è il fondamento di della quasi totalità delle culture fino ad ora osservate e studiate, nonché ciò che garantisce ad ogni epoca uno spazio di libertà, evasione e creatività (Huizinga, 1972): ecco perché le attività ludiche sono parte imprescindibile della nostra esperienza di vita e, proprio per questo, una delle sue manifestazioni più foriere di sviluppi e ramificazioni evolutive (Doni e Tomelleri, 2011).
Giocare tra adulti per aprire spazi relazionali.
Giocare è un’attività molto significativa anche quando viene fatta senza avere finalità specifiche di tipo educativo e/o riabilitativo. Le attività ludiche all’interno della propria famiglia, o con i propri coinquilini, infatti, non solo risultano un utile “allenamento” per le proprie abilità e competenze, ma aprono anche uno spazio relazionale che consente di portare in evidenza gioie e dolori di un rapporto (Zatti, 2013), consente la condivisione di un’esperienza, dà l’opportunità di sperimentarsi e di negoziare in uno spazio protetto: consente di conoscersi.
Il gioco è un dispositivo di formazione permanente
La scienza che più di ogni altra ha indagato la fenomenologia del gioco è la pedagogia (Kaiser, 2002), andando da Rousseau (1782) a Fröbel (1967) arrivando ai preziosi contributi delle sorelle Agazzi (1961), di Maria Montessori (1956, 1968, 1972 e 1999), di Dewey (1968 e 1969), Piaget (1972) e Bruner (1981), dai quali emerge come il gioco sia un potente strumento educativo e formativo che ricopre un ruolo fondamentale nello sviluppo psicologico, motorio, cognitivo, emotivo e identitario della persona.
Per questo, negli ultimi decenni, la ricerca non si è limitata ad esplorare il gioco quale attività utile per una specifica fascia d’età bensì lo ha incluso tra i dispositivi di educazione permanente, tant’è che le attività ludiche vengono utilizzate sia nei servizi per l’infanzia, sia da chi si occupa di risorse umane, di formazione professionale o di recupero/potenziamento cognitivo e motorio.
Cosa ci spinge a giocare?
I 4 motori motivazionali individuati da Caillois (1981/2010)
- Agon: desiderio/istinto a competere sia a livello fisico che simbolico attraverso, per esempio, il gioco delle carte, gli scacchi e la dama e molti giochi in scatola;
- Mimicry: bisogno di abbandonare temporaneamente la propria personalità per interpretarne un’altra attraverso, per esempio, i giochi di ruolo;
- Ilinx: bisogno di sfidare i propri limiti attraverso giochi di velocità, acrobazie, cadute, ecc.;
- Alea: desiderio di affidarsi e abbandonarsi al destino senza mettere in campo le proprie capacità attraverso, per esempio, il gioco dei dadi, la tombola, ecc..
5 motivi per giocare
Il gioco è fonte inesauribile di apprendimento e, per questo, sono fortemente intrecciati e collegati fra loro (Negri, 2007; Cera, 2009): l’apprendimento, infatti, non è il prodotto del solo lavoro intellettuale e concettuale o della maturazione biologica, ma è un processo esperienziale molto complesso, frutto della partecipazione attiva della persona nella sua globalità. L’apprendimento implica quindi cambiamento, e l’istanza di cambiamento è ciò che ci permette di “rimettere in gioco” la realtà (Bertolini, 1982; 1989; 1996; 2001) grazie alla creatività, all’immaginazione, alla fantasia e al ragionamento che, pertanto, non sono attività da relegare alla sola età dell’infanzia.
Ecco, dunque, i 5 motivi per cui un adulto dovrebbe giocare:
- Per allenare la flessibilità cognitiva, l’attenzione, la memoria, la memoria di lavoro e il ragionamento astratto (Basek et al., 2008);
- Per allenare e migliorare la propria capacità di problem solving e di decision making, e tutte le abilità e competenze connesse (per esempio: pianificazione , ragionamento, pensiero critico e pensiero creativo e divergente);
- Per allenare il recupero lessicale e aumentare il proprio ventaglio di conoscenze, nonché attivare e stimolare la creatività, la flessibilità e la fluidità in ambito semantico e lessicale;
- Per ridurre lo stress e avere benefici positivi sull’umore, come dimostrato da uno studio condotto dall’Università della East Carolina nel 2016;
- Per mettersi in gioco, sperimentare e sperimentarsi e mettersi in relazione (Doni e Tomelleri, 2011; Zatti, 2013).
10 giochi con cui giocare
- Dixit, Taboo , Pictionary e Cranium per stimolare e mettere in campo abilità e competenze relazionali, comunicative e narrative, per allenare il recupero lessicale e aumentare la fluidità e il proprio ventaglio di conoscenze in ambito semantico e lessicale, per esercitare creatività, fantasia e pensiero astratto e per esercitare la capacità di mettersi nei panni altrui e l’empatia;
- Scacchi: come affermato da Kazemi F. e colleghi (2012), per esercitare le capacità metacognitive e di risoluzione di problemi, nonché di aumentare le abilità di pensiero di ordine superiore (analisi, sintesi, concettualizzazione, gestione delle informazioni, pensiero critico, indagine e metacognizione);
- Ticket to ride: per stimolare ed esercitare le proprie abilità logico-deduttive e strategiche, l’attenzione e il ragionamento, per allenare e migliorare la propria capacità di problem solving e di decision making;
- Cluedo e Jenga: per esercitare le proprie abilità logico-deduttive, strategiche e statistiche, per stimolare e allenare le abilità di pensiero di ordine superiore nonché per mettere in campo e aumentare le capacità di problem solving e di decision making (e, per estensione, di pianificazione, ragionamento e pensiero critico);
- Trivial Pursuit: per mettere in campo la memoria, esercitare la capacità di recupero delle informazioni e stimolare le abilità logico-deduttive;
- Puzzle: per favorire la cooperazione, la risoluzione congiunta di problemi, per allenare la memoria, la concentrazione, la capacità di osservazione e il ragionamento.
Bibliografia
Caillois R. (1981/2010), I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano.
Cera R. (2009), Pedagogia del gioco e dell’apprendimento. Riflessioni teoriche sulla dimensione educativa del gioco, Franco Angeli, Milano.
Doni M. e Tomelleri S. (2011), Giochi sociologici. Conflitto, cultura, immaginazione, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Huizinga J. (1972), Homo Ludens, Einaudi, Torino.
Kaiser A. (2002), Il gioco nell’educazione dell’uomo contemporaneo, Pedagogia e Vita, Vol. 1, pag. 84.
Kazemi F. et al. (2012), Investigation the impact of chess play on developing meta-cognitive ability and math problem-solving power of students at different levels of education, Procedia – Social and Behavioral Sciences, Vol. 32, pp. 372–379.
Negri S.C., Imparare giocando. Ruoli, apprendimento e didattica, in Nigris E., Negri S.C. e Zuccoli F. (2007), Esperienza e didattica- Le metodologie attive, Carocci, Roma, pp. 249-302.
Zatti A. (2013), Il sentimento motorio. Psico-socio-ecologia dell’educazione psicomotoria, Franco Angeli, Milano.