COVID-19: la pedagogia in aiuto contro la paura

L’11 marzo 2020 l’OMS ha dichiarato il COVID-19 la causa di un’emergenza sanitaria mondiale. Da questo momento la nostra mente si è nutrita di sofferenze psicologiche che rischiano di determinare l’insorgenza di disturbi post traumatici da stress, proprio come ha evidenziato la SISST (Società Italiana per lo Studio dello Stress Traumatico). Le misure restrittive per contenere la pandemia hanno cambiato profondamente le nostre abitudini quotidiane. L’emergenza sanitaria ha innescato meccanismi di difesa emotiva nei confronti dei quali bisogna assumere un atteggiamento educativo adatto a fronteggiare lo stress prolungato, la condizione di smarrimento e la paura di essere contagiati e di morire.

Cosa ci succede quando affrontiamo un trauma come una pandemia?

La paura del COVID-19 è uno stato emotivo che si attiva attraverso le notizie che riguardano l’aumento dei contagi e la crescita del numero delle vittime. Questo può causare inquietudine che si riflette anche sul piano fisiologico, con  alcuni sintomi come la diminuzione della frequenza cardiaca e della tensione muscolare, l’abbassamento della pressione sanguigna e della temperatura. Secondo il neuroscienziato Joseph LeDoux, uno stato emotivo prolungato di incertezza e di pericolo allarmante determina anche l’insorgenza dell’ansia che, a sua volta, influisce sulla memoria, sull’attenzione, sulla capacità di prendere decisioni, fino a determinare un indebolimento del sistema immunitario (LeDoux, 2002). 

Sulla base degli studi neuroscientifici, sappiamo che il sistema della paura è regolato dall’amigdaIa e dalla corteccia prefrontale orbitomediale. L’amigdala riceve informazioni negative da tutte le vie sensoriali, comprese l’olfatto, la vista, l’udito. Dopo essere stati elaborati, i dati dell’informazione sensoriale attivano la reattività emotiva (con reazioni fisiche  e psichiche) di attacco e fuga, atta a preservare la sopravvivenza. L’amigdala può rispondere in meno di 100 millisecondi e, mettersi in azione, perfino prima che uno stimolo entri nella nostra percezione cosciente. La paura, quindi, non può essere controllata razionalmente. Essa è veloce, automatica, inconscia, generalizzata automaticamente ad altri stimoli, multisensoriale, resistente all’estinzione (Cozolino, 2008, p.329). La durata e l’intensità delle emozioni negative a cui siamo sottoposti, durante la quarantena, possono concorrere a modificare le differenti reazioni emotive per cui, seppure non riusciamo ad avere sempre un pieno controllo delle nostre emozioni, tuttavia l’essere umano può riconoscerle e gestirle attraverso un progetto di intervento (LeDoux, 2002).

Come imparare a gestire la paura? Come accompagnare le persone nelle esperienze traumatiche?

Durante un’emergenza come quella del coronavirus, una delle sfide più importanti per un educatore o un pedagogista, può essere quella di aiutare le persone a gestire l’ansia e la paura restando a casa, supportando gli utenti anche attraverso attività di consulenza a distanza tramite le nuove tecnologie di videochiamata, come WhatsApp o Skype. Sappiamo che l’ansia e la paura non si accendono e spengono a comando,  non sono regolate attraverso un interruttore. È possibile, tuttavia, adottare strategie educative che ci permettono di fronteggiarla, esponendosi ad essa senza fuggirla o allontanarla dalla consapevolezza. È come attraversare la tempesta per trovare la quiete, risalire sul cavallo quando ha disarcionato. Questa strategia viene messa in atto quando i genitori dicono ai figli “tutto andrà bene” (Cozolino L., 2008).

Con i bambini spiegare l’emergenza non basta. Bisogna narrare storie

Spiegare ai bambini la tragica situazione che stiamo vivendo, informarli su come difendersi dal contagio oppure fornire un quadro completo degli sforzi che siamo chiamati ad affrontare per scongiurare la malattia, potrebbe essere insufficiente se non viene lasciato spazio all’ascolto delle loro paure ed ansie. (Per maggiori approfondimenti su come parlare ai bambini visitare il sito www.governo.it). I bambini rappresentano una fascia debole di cui bisogna preservare il benessere emotivo. Molti bambini sono spaventati dalla paura di perdere i loro genitori a causa della malattia pertanto, è fondamentale accompagnarli e supportarli nell’elaborazione della paura al fine di evitare gravi danni psicologici. 

La priorità educativa è quella di stabilire un rapporto di cura, nell’ambito comunicativo, volto a validare il loro comportamento emotivo,  attraverso esperienze intersoggettive che possono realizzarsi nella narrazione condivisa (Cozolino L., 2008). In pratica, i genitori possono aiutare i propri figli a superare paure e ansie creando spazi di condivisione (Riflessioni per genitori e caregvers: https://www.sisst.it/la-comunicazione-ai-tempi-del-covid-19-2/) come un laboratorio narrativo quotidiano in cui leggere o raccontare storie. Quando si raccontano le storie infatti, le parole, le intonazioni emotive, le espressioni del viso catturano le emozioni di coloro che ascoltano, trasmettendo, per conoscenza, la forza emotiva contenuta negli insegnamenti letti e ascoltati.

L’atteggiamento da assumere consiste nel dimostrare curiosità e attenzione per ciò che sentono i bambini (Gottman J., Joan De Claire J., 2009):

  1. Aiutare i bambini a riconoscere le loro emozioni e incoraggiare la loro immaginazione;
  2. Saper ascoltare, senza giudicare o dare soluzioni preconfezionate, per esplorare il loro modo di pensare; 
  3. Porsi in uno stato di disponibilità ad accogliere ciò che provano, aiutando a definire loro emozioni; 
  4. Chiedere come valutano la situazione e aiutare a trovare un modo per raggiungere la calma, lasciando emergere le loro proposte.

Questi passaggi permettono al bambino di giungere alla conoscenza di se stesso, di capire che ciò che sta provando è lecito e giustificato dallo status attuale. Non è opportuno minimizzare la complessità. I bambini hanno bisogno di genitori che siano animati dalla curiosità, che sappiano ascoltare e accogliere le loro emozioni. Tutto ciò con un atteggiamento di sintonizzazione emotiva. La sintonizzazione affettiva è la condivisione dei propri stati emotivi per stimolare i figli a condividere il proprio (Cozolino L., 2008, pag. 334). 

E i genitori come possono accogliere la paura?

«Quando il vissuto è doloroso la vita della mente rischia di essere arpionata da quella sofferenza che toglie ogni respiro. Per essere capace di far respirare la vita, la mente deve potersi nutrire non solo di pensieri reali, […] ma soprattutto di energia vitale, quella che viene dal sentire sentimenti positivi» (Mortari L., 2013, pag. 120).

In ambito educativo è importante considerare che le esperienze angoscianti vanno supportate, comprese, elaborate nel loro succedersi: una mente educata è quella mente che, naufragata nel mare in tempesta, percossa nell’animo, ha la forza di ritornare ad uno stato di quiete e di equilibrio (Mortari L., 2013). Anche gli adulti, combattendo una battaglia per sopravvivere al contagio, possono venire sopraffatti dalla condizione di paura prolungata. Una delle strategie pedagogiche che può essere utilizzata dagli adulti e dagli anziani, nei giorni di quarantena, è scrivere un’autobiografia ovvero una storia della propria vita. L’inquietudine esistenziale che si approvvigiona drammaticamente con lo scorrere dei giorni, scuotendo la quotidianità, ha bisogno di trovare uno sfogo e approdare verso sentieri di conoscenza interiore. Appartengono alla pratica pedagogica, filosofica e letteraria le ragioni che spingono a scrivere di sé e della propria vita. La scrittura, sovente, è una tecnica di sublimazione del dolore, di aggiramento del disagio esistenziale (ibidem). Spesso, è un modo di sfuggire la malinconia e cercare  quella serenità che, parallelamente, accompagna il dolore psicologico.

Scrivere di sé coincide con il desiderio di attaccarsi alla vita e di proteggersi dal troppo dolore.  La scrittura realizza un bisogno di natura nutritiva. Il suo esercizio produce una sensazione di “approvvigionamento energetico” che deriva dalla propria storia, qualunque essa sia stata (Demetrio D., 2008). Secondo Duccio Demetrio, scrivere di sé è «Un’esperienza tattile, di moto, nel nulla incombente, nell’immobilità di cui si è afflitti, ci garantiscono, almeno, i polpastrelli tasto dopo tasto, lettera dopo lettera. Il pensiero si materializza, carattere dopo carattere, e si accorge però che va mettendo radici in una terra umida, su un fondo limaccioso che rende la fisicità dell’evento ancora più eccitante. Si scrive sempre sull’acqua e le parole sono i relitti o i salvavita che affiorano dal biancore» (Demetrio D., 2008, pag. 71).

In maniera autonoma oppure richiedendo una consulenza pedagogica (che accompagna e sollecita nelle pratiche autoriflessive di consapevolezza) è possibile seguire l’ologramma autobiografico che segnala le dimensione topiche da rievocare: percezioni sensoriali e fisicamente salienti, stati d’animo (emotività), stagioni, periodi e fasi (non necessariamente rispettando la cronologia); luoghi nei quali si è vissuti; accadimenti (esiti delle proprie scelte per decisioni assunte o condizionate); figure portanti e significative; valori; riflessioni sulle proprie azioni, sui vissuti emozionali; enigmi legati a momenti inspiegabili della vita (Demetrio D., 2008). La scrittura può essere poliforme e comprendere note di vita, appunti, riassunti esistenziali, dialoghi interiori, aforismi e confessioni.

Difendendersi dalla paura coltivando la speranza

Nell’ambito pedagogico, il compito essenziale dell’agire professionale è quello di aver cura delle persone affinché possano apprendere a trasformare il loro modo di affrontare le difficoltà della vita, non cancellando o rifuggendo ansie e paure, ma rivolgendosi a stati emotivi differenti. In questo tempo di instabilità e incertezza, se la paura ci disvela che il desiderio di vita si annichilisce, coltivare la speranza è la scelta necessaria per aprirsi alla tensione del domani: «Quando è sostenuta dal pensare radicalmente impegnato a cercare la comprensione dell’esperienza, la speranza non ha niente di irrazionale; è un pensiero del cuore, una sorta di misura che si trova nell’intimo dell’essere da dove genera forza vitale» (Mortari L., 2013, pag. 123). 

Angela Pellino

Info

 

 

 

Bibliografia

Cozolino L., (2008), Il cervello sociale: neuroscienze delle relazioni umane, Raffaello Cortina, Milano 

Demetrio D., (2008), La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Raffaello Cortina Editore, Milano

 Gottman J., Joan De Claire J., (2009), Intelligenza Emotiva per un Figlio. Una guida per i genitori, BUR, Milano

LeDoux J., (2002), Il Sé sinaptico: come il nostro cervello ci fa diventare quello che siamo, Raffaello Cortina Editore, Milano

Merletti R. V., (1996), Leggere ad alta voce, Mondadori, Milano

Mortari L., (2013), Aver cura della vita della mente, Carrocci Editore, Roma 

Sitografia

www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4270

www.treccani.it/enciclopedia/paura_%28Dizionario-di-Medicina%29/

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