Nei servizi educativi che si occupano di minori autori di reato, ovvero ragazzi e ragazze con condotte “devianti”, il/la pedagogista è una delle figure professionali centrali: progetta interventi educativi complessi e sistemici e fa sì che ragazzi e ragazze non siano considerati un mero “caso da risolvere” in modo semplicistico.
Il carcere: luogo per normalizzare la devianza degli anormali
La devianza è una categoria socio-pedagogica che fa riferimento a tutte le forme di trasgressione alle norme (De Leo e Patrizi, 2011).
A partire dal 1700/1800 furono ideate e sperimentate le prime tecniche di osservazione dei comportamenti per individuarne la devianza, ovvero la differenza dal modello ideale socialmente accettato e condiviso, tant’è che si iniziò ad attribuire lo status di “anormali” alle persone con comportamenti considerati devianti dai modelli morali, sociali, giuridici (Foucault, 1999). Per eliminare la devianza e “normalizzare” i soggetti, vennero istituiti dei “dispositivi” (Foucault, 1999; Agamben, 2006; Deleuze, 2010) quali tecniche, procedure, criteri, modelli, idee e luoghi (ad esempio il carcere, il manicomio e la scuola), al fine di controllare, orientare, modellare e contenere i comportamenti delle persone (Foucault, 1999; Barone, 2011; Foucault, 2014). Qui possono essere rintracciati gli albori di un sistema disciplinare di normalizzazione ancora oggi molto pervasivo, anche nei servizi educativi (Ferrante, 2017): il/la pedagogista è quindi una figura fondamentale.
Le funzioni del/della pedagogista.
Quando l’autore di un reato è minorenne, in un’ottica educativa e riparativa il carcere è una extrema ratio; a questo, infatti, si preferiscono misure alternative alla detenzione come la permanenza a casa, il collocamento in comunità, affidamento in prova ai servizi sociali (De Leo e Patrizi, 2011; Scivoletto, 2012).
La professionalità del/della pedagogista, pertanto, è molto importante per:
- Rendere visibili i dispositivi usati per “normalizzare” i ragazzi e le ragazze
- All’interno dell’équipe, fa emergere i propri e altrui criteri interpretativi impliciti poiché questi hanno conseguenze sulle modalità di progettare e sulla qualità del lavoro educativo, per esempio: cosa è la “devianza”? cos’è la “normalità”? chi è “anormale”? chi è “normale”?
- Fa in modo che si diventi consapevoli e, quindi, ci si possa svincolare dal rischio e dalla tentazione di ridurre la situazione ad un mero oggetto da studiare, trovandone cause e conseguenze in modo deterministico (Barone, 2011).
- Mette in gioco il ragazzo/la ragazza realmente e in modo significativo (Barone, 2011): non come un soggetto passivo e non come l’oggetto di uno sguardo scientifico che ne deve sancire la dimensione patologica e, successivamente, lo deve rendere “normale”.
- Decostruisce tutta la documentazione dal punto di vista linguistico
Il dossier può comprendere, a titolo esemplificativo e non esaustivo: il verbale dell’udienza di convalida dell’arresto, la scheda filtro (relazione di ingresso a seguito dell’arresto) del CPA, la valutazione diagnostica della UONPIA, la valutazione psicodiagnostica, la relazione di valutazione degli apprendimenti del coordinatore di classe, la relazione della situazione familiare e sociale dell’assistente sociale.
Far emergere i significati (Barone, 2011) che i linguaggi utilizzati (giuridico-burocratico, medico-psichiatrico e psicologico) portano è molto importante:
- quale pensiero sta dietro ai termini usati per descrivere il ragazzo/la ragazza?
- quale immagine del ragazzo/della ragazza emerge dalle descrizioni?
- legge e analizza in modo critico sia la documentazione che compone il dossier, sia il contesto del ragazzo/della ragazza
- Si possono individuare ipotesi e possibili aperture nella storia del ragazzo/della ragazza, oppure questa appare cristallizzata, immobilizzata?
- I contesti di cui fa parte il ragazzo/la ragazza (p.e.: scuola, famiglia, società sportiva, gruppo di amici, quartiere, ecc.) vengono presi sufficientemente in considerazione (De Leo e Patrizi, 2011; Bertolini e Caronia, 2015)?
- Viene fatta emergere e viene valorizzata l’agency delle persone (Ferrante, 2016) che abitano i contesti di cui fa parte il ragazzo/la ragazza (p.e.: familiari, insegnanti, allenatori, amici, vicini di casa, ecc.)?
- decostruisce i significati dell’atto “deviante” poiché atto espressivo
Il significato della situazione “deviante” non sta nella personalità del ragazzo o della ragazza (De Leo e Patrizi, 1999), ma nel suo essere atto espressivo verso il mondo (Bertolini e Caronia, 2015), pertanto è necessario indagare:
- quali sono le modalità per far emergere la dimensione degli intrecci di vissuti, di rappresentazioni culturali e di visioni del mondo del ragazzo/della ragazza?
- cosa viene comunicato attraverso l’atto irregolare (Barone, 2011)?
- quali sono le intenzioni che motivano l’atto (Bertolini e Caronia, 2015)?
La progettazione educativa e pedagogica nelle misure alternative alla detenzione
Tutto il lavoro fino ad ora delineato confluisce nella progettazione pedagogica, un importante strumento che permette al/alla professionista di porsi con una postura di ricerca per conoscere il fenomeno e delineare il processo educativo; questa, pertanto, dovrebbe (Barone, 2011; De Leo e Patrizi, 2011; Bertolini e Caronia, 2015):
- integrare tra loro i vari saperi e sguardi professionali coinvolti (p.e.: psicologi, psichiatri, assistenti sociali, giudici, insegnanti, educatori, ecc.);
- far emergere le istanze comunicative del ragazzo/della ragazza, anche per agganciarlo/a e ingaggiarlo/a;
- portare il/la professionista (p.e.: educatore) a decifrare i contesti per cogliere gli elementi impliciti, essenziali per individuare le strategie d’intervento;
- tener conto della lettura critica della documentazione e dei contesti;
- essere sistemico, coinvolgendo tutti soggetti e contesti significativi;
- tener conto di vincoli e risorse del ragazzo/della ragazza, dei contesti e delle persone che li abitano (come familiari, insegnanti, vicini di casa, ecc.).
L’agire educativo professionale, dalla progettazione fino alla quotidianità nei servizi, ha quindi la funzione di aiutare minori autori di reato ad essere parte attiva nel processo e ad essere in grado di dargli un significato: ciò che è importante non è tanto il loro comportamento “deviante”, quanto le loro motivazioni, i significati che attribuiscono al mondo, a sé, e al rapporto tra sé e il mondo (Bertolini e Caronia, 2015).
Bibliografia
Agamben G. (2006), Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma
Barone P. (2011), Pedagogia della marginalità e della devianza. Modelli teorici, questione minorile, criteri di consulenza e intervento, Angelo Guerini Editore, Milano.
Bertolini P. e Caronia L. (a cura di Barone P., Palmieri C.) (2015), Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento: nuova edizione aggiornata, FrancoAngeli, Milano.
De Leo G. e Patrizi P. (2011), Trattare con adolescenti devianti. Progetti e metodi di intervento nella giustizia minorile, Carocci, Roma.
Deleuze G. (2010), Che cos’è un dispositivo?, Cronopio, Napoli.
Ferrante A. (2016), Materialità e azione educativa, Franco Angeli, Milano.
Ferrante A. (2017), Che cos’è un dispositivo pedagogico?, Franco Angeli, Milano.
Foucault M. (1999), Gli Anormali, Feltrinelli, Milano.
Foucault M. (2014), Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino.
Scivoletto C. (2012), Sistema penale e minori, Carocci Faber, Roma.