La libertà di mostrare il proprio corpo, senza filtri, in maniera quasi spavalda, è un traguardo raggiunto a discapito di ogni forma di uniformizzazione estetica dettata dalla moda del momento o dalle tendenze sociali. Che molte persone abbiano raggiunto la consapevolezza che sono proprio i difetti del corpo, quel modo unico di esprimere la fisicità, a catturare la fantasia e l’attenzione dell’altro (Marzano, 2010), è ancora tutto da dimostrare. Cosa certa è, però, che il modo istantaneo di mostrarsi agli altri, attraverso un selfie, spontaneamente, suscita la reazione di molti haters che, per influenza del contesto familiare (Olweus, 1993), dello stile di attaccamento (Troy, Sroufe,1987), del livello cognitivo (Sutton, Smith, Swettenham, 1999), della disposizione all’empatia (Gini, Albiero, Benelli, 2005) e dello sviluppo del pensiero morale (Gini, 2006), praticano forme di bullismo come il body-shaming: “espressione inglese composta dal sostantivo body (‘corpo’) e dal verbo sostantivato shaming (il far vergognare qualcuno). In pratica Il deridere qualcuno per il suo aspetto fisico, giudicandone le forme del corpo, in particolare attraverso il web e i social network” (treccani.it).
Le parole offensive colpiscono come pugni e schiaffi
Quando vengono usate parole malevoli per offendere e denigrare aspetti o tratti fisici inevitabilmente si percuote l’animo delle persone e si lasciano ferite profonde che ledono la fiducia in se stessi. Le brutte parole, le maldicenze, propagandosi a ragnatela, non fanno altro che alimentare scie di odio verso gli altri. La violenza verbale che viene espressa nei commenti scritti sotto ai post, è indice di rifiuto e di non accettazione delle persone e delle idee, trattati come oggetti nocivi e inadoperabili (Loiodice, 2019).
Il corpo, l’oggetto della vergogna, quando si presenta diverso dai canoni estetici imposti dalla moda, dalla società genera paura, diffidenza, rifiuto. Succedeva nel medioevo, quando un corpo disabile veniva associato alla punizione divina, succede nell’epoca moderna dove la realtà virtuale alimenta una percezione della corporeità separata dalla coscienza, dall’essere in sé, fornendo l’immagine di un corpo confezionato ad arte che non rispecchia quello che pensiamo o desideriamo (Mariani A., 2004).
Per accettare il diverso da noi bisogna educare il cuore e la ragione
La pratica di giudicare i corpi, imperfetti, vissuti, impone una riforma del pensiero atta a sviluppare una capacità critica di accettazione dell’altro. Ragione quindi, riflessione critica e investigativa così come ci ha insegnato Dewey quando affermava che il passaggio da un conflitto, la trasformazione di una situazione incerta, dubbiosa in una esperienza comprensibile avviene attraverso la ricerca di nuovi significati (J. Dewey, 1961).
I soggetti dovrebbero essere educati a interpretare criticamente la realtà, a considerare che ogni corpo è innanzitutto una storia di vita. Il corpo, nelle sue molteplici sfumature di imperfezione, è il riflesso e l’espressione di una biografia che nessuno dovrebbe mai demolire. Se la razionalità e la conoscenza possono fare da cornice ad un’“educazione del corpo” per diventare accoglienti verso gli altri e responsabili socialmente bisogna sviluppare l’intelligenza emotiva, educando ai sentimenti e sviluppando l’empatia. Questo il principale compito educativo assegnato ai genitori, agli insegnanti, agli educatori: considerare la sfera sentimentale come parte integrante e costitutiva dell’educazione per non rischiare di generare un analfabetismo emotivo che potrebbe condurre verso la deriva esistenziale dove campeggia il disprezzo, l’insensibilità verso il prossimo, l’indifferenza (Iori V., 2012)
Le imperfezioni del corpo rappresentano l’essenza stessa dell’umanità
Come insegna Rita Levi-Montalcini nella sua autobiografia, l’imperfezione è così consona all’esistenza umana da esigere un elogio. Le imperfezioni come gli errori fanno parte del percorso di vita: solo attraverso di essi si può giungere alla completezza, alla realizzazione umana e professionale (Levi-Montalcini R., 1987). Merleau Ponty afferma che il nostro corpo è assimilabile ad un’opera d’arte, esprime un significato che va oltre l’aspetto esteriore. Allo stesso modo un romanzo, una poesia, un quadro oppure una canzone esprimono più di una lineare melodia, più di un assemblamento di colori e pennellate. Una poesia oppure un romanzo hanno significati profondi, raccontano, esprimono e non sono solo un insieme di frasi e periodi. Il nostro corpo dunque è più della somma dei caratteri fisici. Esprime più di un senso estetico, testimonia una esperienza di vita, i cui segni esteriori riflettono significati più profondi e intimi (Merleau-Ponty M., 2003).
Comunicare senza odio: educare alla parola
La famiglia, la scuola, la società sono responsabili di un’educazione della parola e della comunicazione. Un punto di partenza potrebbe essere organizzare iniziative, attività di formazione, progetti educativi per contrastare questa modalità tossica di umiliare. Tra le iniziative in tal senso, notevole il progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole sul web.
Ecco i dieci punti del Manifesto della comunicazione non ostile (https://paroleostili.it/manifesto/):
- Virtuale è reale. Dico e scrivo in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona.
- Si è ciò che si comunica. Le parole che scelgo raccontano la persona che sono: mi rappresentano.
- Le parole danno forma al pensiero. Mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso.
- Prima di parlare bisogna ascoltare. Nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura.
- Le parole sono un ponte. Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri.
- Le parole hanno conseguenze. So che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi.
- Condividere è una responsabilità. Condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi.
- Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare. Non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare.
- Gli insulti non sono argomenti. Non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi.
- Anche il silenzio comunica. Quando la scelta migliore è tacere, taccio.
Angela Pellino
Bibliografia
Dewey J., Come pensiamo : una riformulazione del rapporto fra il pensiero riflessivo e l’educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1961
Iori V., “I giovani e la vita emotiva”, in Education Sciences & Society, n. 1, 2012
Levi-Montalcini R., Elogio dell’imperfezione, Garzanti, Milano, 1987
Loiodice I., “Il potere delle parole: le ferite e i lenimenti”, in MeTis. Mondi educativi. Temi, indagini, suggestioni, 9(2), 2019
Mariani A. (a cura di), Corpo e modernità. Strategie di formazione, Unicopli, Milano, 2004
Marzano M., La filosofia del corpo, Il Melangolo, Genova, 2010
Merleau-Ponty, M., Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2003
Torregiani G., Mariani A.M., Amoroso C., “The contribution of cognitive neuroscience and law in an interdisciplinary perspective on bullying”, in Formazione & Insegnamento, XVI – 2, 2018
Sitografia
https://paroleostili.it/manifesto/