Ciao 2020: la Russia ci guarda e parla italiano

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Ha destato reazioni contrastanti il programma mandato in onda il 31 dicembre 2020 dall’emittente russa 1 Pervyj KanalCiao 2020, questo il titolo del programma, è uno show preregistrato, ideato da Ivan Urgan (noto conduttore e autore di programmi russo) che prende spunto da quelli che si potrebbero definire i “veglioni musicali” televisivi di fine anno italiani. Eventi che sono immancabili ormai da più di un decennio sulle “nostre” emittenti la sera dell’ultimo dell’anno.

Lo Show

Affermare che il programma russo “prenda spunto” da questi prodotti televisivi nostrani sarebbe un eufemismo. C’è il conduttore che balza da un ospite all’altro e con fare suadente lo intrattiene con qualche domanda o ne introduce la performance canora, c’è il comico/spalla che interviene con battute irriverenti generando anche situazioni di imbarazzo, c’è la figura femminile procace con le sue prosperità corporee ben in mostra che accompagna il presentatore e ci sono gli ospiti: attori, cantanti e registi. Tutto questo è rimescolato in una “salsa anni ‘80” che riempie lo studio di led, luci dalle tonalità molto cariche, atmosfera da discoteca e vistosi abbigliamenti, sempre in tema, dei presenti.

Da non tralasciare, infine, un dettaglio: lo show è interamente in italiano. Un italiano “incerto”, con inflessione russa ma che non viene abbandonato nemmeno per un attimo da nessuno, al punto tale che anche le canzoni (eseguite da veri cantanti professionisti e famosi in Russia) sono tradotte e riadattate in maniera tale da sembrare dei veri prodotti degli anni ’80 della nostra cultura.

Stereotipo e mass media

Insomma, potrebbe apparire come un contenitore di elementi, aspetti e concetti che sono diretta espressione del “nostro” paese e del “nostro” “essere italiani” che traspare dai programmi della nostra tv. Il condizionale è tuttavia d’obbligo, perché in realtà questo “prodotto” mette probabilmente in evidenza alcuni temi da poter affrontare in chiave antropologica.

Una trasmissione proposta come parodia dei festival canori italiani, delle nostre trasmissioni televisive e dei nostri “veglioni musicali”, costruita, scritta e intesa (queste le intenzioni pubblicizzate dagli stessi ideatori) palesa, in maniera neanche troppo velata, quella che si potrebbe definire una “visione esterna”. Si apre la possibilità di scoprire, almeno in parte, come sono state e come vengono percepite le “nostre” abitudini e le “nostre” modalità dell’esistenza da un’altra cultura, in questo caso quella russa. Un “punto di vista altro” non è solo e non è più soltanto il prodotto della tradizione orale o scritta, ma anche frutto di quella che potremmo definire la “trasmissione analogica e digitale”, in quella temperie culturale e tecnologica che Debray ha definito «il secolo della videosfera». [1999:170]

Ciò che può apparire davanti ai nostri occhi, in questa «terza età dello sguardo» [ibidem] in cui le immagini indicano e mostrano, è quindi una riproposizione della realtà in cui «le persone mostrate al video non sono individui, ma dei marcatori, dei logo, la cui funzione è fare da riferimento, per metonimia ad un gruppo allargato» [Marazzi, 2008:99] Ecco che quindi Ciao 2020 comincia ad apparire non solo uno show leggero che fa sorridere anche noi italiani canzonati ai quali viene “fatto il verso”, ma anche un esempio di come si costruisce, si alimenta e vive uno stereotipo.

Osservando questo programma, dove si alternano attori e cantanti vestiti alla maniera dei nostri artisti italiani, dove si utilizzano i tipici e conosciuti luoghi comuni sulla pasta, dove i discorsi sono farciti di nomi di città italiane, come Milano, Como, Roma, e dove si presenta (per esempio) una famosa telenovela italiana intitolata “Quattro Putane”, viene da ipotizzare che i processi storici e culturali che hanno promosso nel contesto sovietico “un’idea dell’italianità” così ben manifesta e articolata siano stati comunque lunghi e complessi. Ciò che, però, va tenuto presente, analizzando il “fenomeno” è che la predisposizione alla costruzione di stereotipi non è certo un’attitudine che va sempre e comunque considerata una “patologia” [cfr. Pickering, 2001]. Infatti «non è affatto detto che gli stereotipi siano sempre “falsi”, possono anche essere “veri” (qualora li si verifichi con indagini statistiche); né sono necessariamente negativi, poiché servono a categorizzare la realtà in modo economico e in tutte le sue forme». [Salmon, 2017:98]

È sempre Laura Salmon, nella sua analisi su come nascono le barzellette etniche e come consolidano gli stereotipi, a illustrare come questi ultimi si fanno poi strada e si alimentano all’interno delle forme di linguaggio e comunicazione di una determinata cultura mescolandosi con dati noti e le esperienze individuali generando dei veri e propri «schemi mentali narrativi». [ivi: 99] Questi dati noti e queste esperienze individuali sono spesso mutuati da quella stessa televisione, strumento (come detto prima) diffusore di immagini e marcatori, che poi autoalimenta un pregiudizio, un’idea in merito a un personaggio, un argomento o la concezione di un popolo (in questo caso quello italiano).

Chi alimenta lo stereotipo?

Un ruolo in questa “partita” dell’identificazione etnica, lo giocano e lo hanno giocato probabilmente anche quelli che si potrebbero definire “ambasciatori dell’italianità” in Russia. Sono tutti quegli artisti, cantanti e volti noti del nostro paese che hanno speso (e spendono ancora) una parte della parabola della loro carriera nei paesi dell’est. Albano Carrisi, Pupo, Adriano Celentano, ecc., sono nomi che vengono menzionati durante Ciao 2020 come icone dell’italianità e vere top star del “panorama mediatico” russo. Più o meno consapevolmente questi artisti sono stati oggetto di una sorta di “speculazione” da parte di quella che, parafrasando Alessandro Casellato, si potrebbe definire come “l’industria culturale contemporanea”, quella che produce “fenomeni” e personaggi grazie alla potenza dei mass media. [2007:203-204]

Edgar Morin sostiene proprio che «la stampa di massa mentre investe i divi di un ruolo mitologico, cala nella loro vita privata per estrarne la sostanza umana che permette l’identificazione» [2005:146] Quella “sostanza umana”, rappresentata dalla narrazione delle vite private di questi artisti italiani all’estero, ha probabilmente determinato, costruito e consolidato (insieme a quello che già era lo stereotipo italiano) quei “luoghi comuni” sui quali scherza il programma di Ivan Urgan (sotto un certo punto di vista anche apprezzato dai Russi visto che un prodotto simile viene proposto su una delle più importanti emittenti sovietiche la sera dell’ultimo dell’anno).

Conclusioni

Le finalità di questa piccola riflessione non sono votate né a condannare né ad esaltare il programma russo, ma probabilmente a destare l’attenzione sulla grande potenza, spesso ignorata che possono avere i mezzi di comunicazione e quanto sia sottile il confine che c’è tra pregiudizio e generalizzazione. Come spiega Mazzara, la generalizzazione si basa su dei dati che sono verificati e che tendono all’oggettività in maniera tale da dimostrare con la massima accuratezza possibile l’andamento generale di un dato fenomeno. [cfr. Mazzara, 1997]

Lo stereotipo invece si appoggia su concetti di tipo dogmatico, un «definire prima di osservare» [Villano, 2013:14] che esula da una vera esperienza di ciò che stiamo in quel momento giudicando. Ciò che però appare curioso è la reazione che la visione che questo programma ha destato negli stessi italiani. Da un’osservazione dei commenti italiani che sono apparsi sui social in seguito alla pubblicazione di questo video, salvo qualche reazione molto critica, per la maggioranza il programma ha suscitato ilarità e feed back positivi.

Una domanda sorge spontanea. Cosa si cela dietro quel sorriso?

È una reazione consapevole che accoglie quella parodia in maniera anche autocritica o è la stessa risata che un bambino fa quando, giocando a nascondino, viene scoperto? Usciamo fuori sorridendo dopo essere stati messi allo specchio da una «performance culturale» [cfr. Turner, 1993] o è un sorriso di autocompiacimento che, parafrasando Teti [2013], rischia di autoalimentare ulteriormente lo stereotipo?

antonio severinoAntonio Severino

Info

 

 

 

Bibliografia

Casellato A., in Iuso, A., Antonielli, Q. (a cura di ), Scrivere agli idoli, Museo storico in Trento, Trento, 2007

Debray, R., Vita e morte dell’immagine. “Una storia dello sguardo in Occidente, Il Castoro, Milano, 1999

Iuso, A., Antonielli, Q. (a cura di ), Scrivere agli idoli, Museo storico in Trento, Trento, 2007

Marazzi, A., Antropologia della visione, Carocci, Roma, 2008

Mazzara, B., M., Stereotipi e pregiudizi, il Mulino, Bologna, 1997

Morin E., Lo spirito del tempo, Meltemi, Roma, 2005

Pickering, M., Stereotyping: The politics of Representazion, Palgrave, New York, 2001

Salmon L., in Moracci, G. (a cura di), Incontri fra Russia e Italia. Lingua, letteratura, cultura, LED edizioni universitarie, Milano, 2017

Teti, V., Maledetto Sud, Einaudi, Torino, 2013

Turner, V., Antropologia della performance, il Mulino, Bologna, 1993

Villano, P., Pregiudizi e stereotipi, Carocci, Roma, 2013

Video di riferimento

[1] CIAO, 2020! Полная версия – Video integrale della trasmissione andata in onda

[2] La baldanza – Esibizione di Nicola Bascha ft Danielle Milocchi

2 Replies to “Ciao 2020: la Russia ci guarda e parla italiano”

  1. punto divista che io considero completamente fuori strada, per esperienza diretta sia generazionale che per corso di studi che esperienza lavorativa nel campo dello spettacolo. ecco il commento che gli ho lasciato

    “Capolavoro. Avete studiato a fondo i nostri format televisivi dell’epoca da “discoring” a “scelti per voi” di renzo arbore, il cabatet musicale di “non stop” e qualcosa di “drive in” oltre alle pubblicità e lo spirito dei giochi in tv. Finissimi i riferimenti all’abbigliamento come i costumi con le spalline appuntite in stile matia bazar ( che si ispiravano a ertè) o i capelli a caschetto stile nino d’angelo. Se posso fare un appunto sulle coreografie queste erano forse un po’ più anni ’90 che 70 e 80: nei 70 e 80 l’influenza della danza classica era ancora tenuta molto in considerazione anche nella danza televisiva che all’epoca, non so perchè, veniva chiamata “danza jazz”. Insomma, come noi qui studiamo le vostre avanguardie, il kinoglaz, il montaggio delle attrazioni, l’effetto kuleshov, voi studiate la nostra tv commerciale e popolare e lo fate meglio di quanto noi studiamo voi: recitare tutto in italiano deve esere stato difficilissimo e a parte qualche errore di sintassi nelle canzoni è davvero tutto ricostruito in maniera filologica, nella migliore tradizione russa del restauro conservativo, basta andare a san pietroburgo, a peterhof o al palazzi di ekaterina per capire. Da notare la perla di pippo kirkorov che fa il papa ( ma che ricorda il mago otelma) e che dà il permesso per far partire l’anno nuovo poi augurando giovinezza eterna. Bravissimi tutti davvero e grazie per questo amore per l’italia !!”

    1. Grazie mille per il commento che hai voluto condividere con noi per ampliare ancora di più il panorama delle riflessioni in merito a questo programma che può considerarsi sicuramente il frutto di una costruzione raffinata.
      Se vuoi ampliare la tua disamina attraverso il tuo punto di vista artistico/professionale l’Antro di Chirone è a disposizione. Non esitare a contattarci e a proporci la tua analisi. Un punto di vista come il tuo, pieno di riferimenti e consapevoli richiami a quello che Ciao 2020 contiene potrebbe farci comprendere ancora meglio ciò che abbiamo visto.

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