Grazie anche al film della Disney Inside Out del 2015, è ormai noto che le emozioni di base sono 5: la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura e il disgusto. La loro scoperta risale al 1994 ad opera dello psicologo americano Paul Ekman, il quale ha individuato in queste emozioni programmi neurofisiologici di espressione facciale spontanea, comuni a tutte le culture. Dalla combinazione delle emozioni primarie derivano quelle secondarie, che sono influenzate dalla crescita dell’individuo e dall’interazione sociale a cui è sottoposto durante il suo sviluppo.
L’origine delle emozioni
Il termine emozione deriva dall’espressione latina ex movere, che significa “muovere da”, suggerendo che questa parola sia implicitamente connessa a una tendenza ad agire. Le emozioni, infatti, causano una rottura fisiologica dell’omeostasi, ossia l’equilibrio dell’attività dell’organismo. In questo modo viene prodotto un movimento interno che permette di orientare l’azione verso uno stimolo preciso per poi prepararsi ad agire. L’emozione, infatti, può essere definita come un sistema complesso di interazione tra l’organismo e l’ambiente (Marmocchi, Dall’Aglio, Zannini, 2004).
L’emozione viene percepita attraverso le modificazioni corporee che si verificano in presenza di uno stimolo, che può essere sia interno che esterno. Queste alterazioni fisiologiche producono dei segnali specifici che rappresentano il mezzo comunicativo per esprimere le emozioni a livello non verbale. Le emozioni, quindi, segnalano una particolare sollecitazione e permettono di valutarla in relazione alla sua rilevanza, in modo da consentire al soggetto di agire in maniera congruente alla situazione (Anolli, Ciceri, 1992). Tutte le emozioni sono caratterizzate da intenzionalità, ovvero sono sempre rivolte a un oggetto, che può essere anche inconscio (Griffiths, 1997).
Il ruolo delle emozioni
Per la cultura occidentale, spesso, le emozioni vengono contrapposte alla ragione poiché si pensa che compromettano la componente cognitiva. In realtà grazie ad alcune ricerche si è scoperto che le emozioni fanno parte del circuito della ragione e possono contribuire al processo di ragionamento anziché essergli di intralcio (Damasio, 2000). Infatti, le emozioni sono considerate dei mediatori nella relazione tra l’individuo e l’ambiente, poichè consentono di valutare gli stimoli esterni in base alla loro rilevanza. Inoltre, sono utili per preparare l’azione in relazione agli eventi che interessano alle persone (Frijda, 1986) e aiutano ad apprendere le risposte più appropriate da mettere in atto in condizioni analoghe in futuro. Questo processo di valutazione è soggettivo e condizionato dagli obiettivi, dalle motivazioni, dalle aspettative individuali e dal concetto di sé della persona.
Come gestire le proprie emozioni
Le emozioni sono tutte adattive, sebbene alcune siano considerate positive, come la gioia, mentre altre siano valutate come negative, tra cui la tristezza, la rabbia o il disgusto. Questa diversa connotazione non deve trarre in inganno, infatti tutte le emozioni sono utili allo stesso modo poiché provocano un’attivazione o un allontanamento dell’individuo verso gli stimoli ambientali, a seconda dell’esigenza di quel momento (Demaree et al, 2005). Se si riesce a regolare in modo efficace le emozioni, si ottimizza il funzionamento e il benessere del cervello e si favorisce l’adattamento all’ambiente circostante. Inoltre, si ottengono informazioni aggiornate riguardo la corrispondenza tra l’organismo e l’ambiente (Schwartz, Clore, 2003). Una strategia di regolazione può essere funzionale o meno, tuttavia per essere efficace, deve essere flessibile e responsiva ai cambiamenti contestuali ma nello stesso tempo mantenere il proprio equilibrio (Thompson, Calkins, 1996). Diversi studi hanno dimostrato che alcune strategie possano essere più adattive di altre (Hopp, Troys, Mauss, 2010).
Le più importanti sono:
- il reappraisal, che consiste nello sviluppo di interpretazioni o prospettive positive rispetto un evento stressante, per ridurne gli effetti negativi. L’uso abituale di tale strategia di regolazione emozionale può rappresentare un fattore protettivo verso lo stress nella popolazione generale (Flouri, Mavroveli, 2013), depressa (Yoon et al, 2013) e ansiosa (Smith et al, 2012);
- il problem solving, che rappresenta il tentativo di modificare una situazione stressante o di contenere le sue conseguenze. Una bassa capacità di problem-solving è associata a depressione (Billings, Moos, 1981), ansia (Chang, Downey, Salata, 2004) e uso di sostanze psicoattive (Cooper et al, 1992);
- l’accettazione, che si riferisce all’accettazione non giudicante dell’esperienza emozionale e si basa sulla consapevolezza del momento. Questa strategia è la più efficace per gestire le emozioni negative e l’ansia (Cristea et al, 2013).
Sono state, inoltre, identificate tre strategie di regolazione non adattive (Hopp, Troys, Mauss, 2010):
- la soppressione, che è una strategia “response-focused” perché modula la risposta emotiva generata dall’emozione che si sta provando in quel momento (Gross, 2002). Nonostante nasconda l’emozione agli occhi esterni, non riduce del tutto l’attivazione fisiologica ed emozionale nel lungo periodo. Provoca una riduzione della soddisfazione sociale (Srivastava et al., 2009) e un’aumentata reattività fisiologica (Campbell-Sills et al, 2006). Può portare anche ad una maggiore accessibilità e presenza dei pensieri indesiderati nella mente dell’individuo (Wenzlaff, Wegner, 2000);
- l’evitamento, che consiste nell’eludere i pensieri, le sensazioni e i comportamenti che derivano da un determinato stimolo emotivo;
- il pensiero perseverativo, che implica la ripetizione delle emozioni provate, delle loro cause e delle loro conseguenze (Nolen-Hoeksema et al, 2008).
Le persone in grado di riconoscere le proprie emozioni, capire come funzionano, attribuire loro un significato e gestire l’esperienza in modo adeguato, saranno, dunque, più capaci di rispondere efficacemente alle richieste e alle situazioni della vita quotidiana.
Francesca Chiara D’Ambrosio
Bibliografia
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