Tra Gennaio e Febbraio 2021, su Rai1 sono andate in onda, a distanza di poco tempo, tre nuove fiction: “Mina Settembre”, “Le indagini di Lolita Lobosco” e “Che Dio ci aiuti 6”. Sono state tutte prodotte dall’emittente e hanno ottenuto alte percentuali di share, riscuotendo molto successo e seguito. Di cosa trattano? “Mina Settembre” racconta la storia di un’assistente sociale che presta servizio in un consultorio nel centro di Napoli e che si imbatte in un mistero; “Le indagini di Lolita Lobosco”, invece, racconta la storia di una vicequestora che torna nella sua Bari cercando di affermarsi; “Che Dio ci aiuti 6” dal 2011 narra le vicende di Suor Angela, una suora non convenzionale ed insostituibile per tutti i ragazzi che sostano nel convento.
Ma cosa hanno in comune?
Tutte e tre queste fiction presentano puntate in cui lo sviluppo delle vicende porta a false accuse di stupro. Nello specifico:
- nella quinta puntata di “Mina Settembre”, una ragazza accusa il ginecologo Domenico di aver abusato sessualmente di lei; lui racconta alla protagonista di aver incontrato la ragazza pochi giorni prima per prescriverle degli anticoncezionali, ma che dopo essersi allontanato per un momento, lei era andata via portandosi la ricetta. Alla fine si scopre che la ragazza aveva mentito e che in realtà era stata violentata da un cliente del centro estetico in cui lavorava.
- Nella prima puntata de “Le indagini di Lolita Lobosco”, il dentista Stefano Morelli, ex compagno di liceo e amore adolescenziale di Lolita, viene accusato dalla sua assistente di violenza sessuale. La ragazza spiega anche di aver aspettato due giorni prima di denunciare per paura della reazione del fidanzato Ciro. Alla fine si scopre che ha architettato tutto insieme a suo fratello ed alla moglie del dentista per incastrarlo.
- Nella nona puntata di “Che Dio ci aiuti 6”, la sorella dell’avvocato Nico, dichiara di essere stata vittima di violenza sessuale da parte di un professore universitario, costringendo il ragazzo ad occuparsi del caso. Con l’aiuto di Suor Angela, si scopre poi, che non era stata direttamente lei ad essere coinvolta nella violenza, ma una sua amica che si era suicidata, e per tale ragione voleva vendicarla incastrando il professore.
Ciò potrebbe essere letto come una “leggerezza” da parte della prima rete del servizio pubblico, contribuendo ad accrescere la diffidenza verso chi denuncia un abuso? In molti, anche sui social, hanno segnalato l’avvenimento e sono insorti contro la Rai chiedendo spiegazioni, primo tra tutti l’editoriale indipendente “Aestetica Sovietica”. Difatti tre casi non sono pochi e «quella che poteva sembrare una coincidenza appare sempre più come un disegno politico, o quantomeno come un retaggio culturale imperdonabile in un paese che già fa molta fatica a credere alle violenze sessuali».
Ad oggi molte persone sentendo parlare di stupri, asseriscono che, a prescindere, le vittime se la siano andata a cercare. Dunque, la questione delicata è anche quella del non essere credute da chi si ha intorno o dall’opinione pubblica (vedi caso Genovese). Per la società è sempre la donna in qualche modo bugiarda o colpevole, anche se ci troviamo in un momento di massima emergenza per la violenza di genere.
I dati Istat
Nel nostro Paese il 31,5% delle donne tra i 16 ed i 70 anni (6 milioni 788 mila) ha subìto una qualche forma di violenza fisica o sessuale: in particolare il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi, come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila) ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner, contro il 24,7% che, invece, l’ha subìta da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute.
Per quanto riguarda la denuncia degli atti di violenza, nel 2020 con la Pandemia da Covid-19, solamente 695 donne hanno denunciato, mentre 4.738 hanno preferito non denunciare e 164 hanno denunciato per poi ritirare la denuncia. Questi dati sono particolarmente allarmanti se confrontati con l’anno 2019, in quanto le vittime che non denunciano risultano essere aumentate più del doppio (2.212 vs. 4.738). Infatti, contestualmente al lockdown sono anche raddoppiate le persone che hanno chiamato il numero antiviolenza 1522. Inoltre, le donne che denunciano una violenza che non è avvenuta sono una percentuale alquanto irrisoria (l’ultimo dato risale al 2016, con 8 donne). Occorre sottolineare infine che, alla luce dell’alta incidenza degli atti violenti in Pandemia, i dati Istat sono riferiti solamente alle donne, ma – sebbene con percentuali minori – sarebbe da considerare anche la violenza sugli uomini ed i relativi pregiudizi che ne conseguono.
Il messaggio veicolato
Essendo i film dotati di un linguaggio polisemico che si rivolge agli spettatori, e di situazioni rappresentate che possono influire sugli orientamenti esistenziali, il messaggio lanciato dalle ultime fiction – seppur le violenze non siano avvenute – concorre ad alimentare sia i pregiudizi verso le vittime e chi di esse denuncia, sia questa tendenza culturale e patriarcale che le colpevolizza (Victim blaming) ed assolve i colpevoli. Infatti, etimolgicamente «il pregiudizio corrisponde ad un qualsiasi tipo di giudizio formulato prima di una conoscenza diretta» (Voci e Pagotto, 2010:3) e per il costrutto sociale si riferisce principalmente ad un giudizio di carattere negativo. Esso porta anche ad una generalizzazione ed estensione indifferenziata della valutazione negativa ad intere categorie sociali.
Cos’è il Victim blaming?
Nello specifico la colpevolizzazione della vittima (o victim blaming) è un atto denigratorio che si verifica quando la vittima (o le vittime) di una violenza, crimine o incidente viene ritenuta responsabile delle conseguenze dannose che sperimenta. La colpa può essere espressa tramite atteggiamenti negativi da parte di professionisti della salute legale, medica e mentale o dalle reazioni dei media, dei familiari stretti e di altri conoscenti. Infatti le vittime vengono spesso esaminate attentamente: viene chiesto loro con chi erano, cosa indossavano o cosa hanno fatto per provocare l’atto violento. Questo “puntare il dito” di solito porta alla vittimizzazione secondaria (Brickman et al., 1982) che alla fine le priva del sostegno sociale (Correia & Vala, 2003). Inoltre, grazie al mix di pregiudizi, credenze e dinamiche disfunzionali, la vittima – oltre a chi osserva dall’esterno – ha la percezione che, in qualche maniera, possa essere responsabile delle azioni del maltrattatore.
Invece, le istituzioni e, più in generale la società, dovrebbero «giocare un ruolo sociale nella possibilità di rendere giustizia alle vittime: l’aiuto attivo degli altri ripristina un senso di giustizia e di armonia nella socialità distrutta della vittima e aiuta le vittime nel difficile passaggio verso il nuovo mondo del dopo vittimizzazione» (Balloni, 1996:11).
Come iniziare a cancellare la violenza di genere?
Considerando le quattro P richiamate dalla Convenzione di Istanbul (Prevenzione, Protezione, Procedimento contro i colpevoli e Politiche integrate), «ancora molto resta da fare nel campo della prevenzione e delle politiche integrate» (Valente, 2019:99). Sarebbe necessario, allora, promuovere azioni finalizzate al cambiamento socio-culturale di tutti, delle donne, degli uomini, ma anche e soprattutto dei bambini, per eliminare pregiudizi e superare modelli stereotipati dei ruoli. Più in generale promuovere ed educare a modelli di relazione basati sul rispetto reciproco, coinvolgendo tutte le professionalità, le autorità e gli enti.
Per quanto concerne, poi, «gli aspetti comunicativi e le life skills» (De Santi, 2019:29), occorre agire sul linguaggio e la rappresentazione, cambiando la narrazione dei finti stupri, che disincentiva la denuncia e rafforza il Victim blaming. Insomma, si può scegliere cosa raccontare al pubblico ed affrontare la questione da un punto di vista diverso, eliminando i pregiudizi per includere, invece, le persone survivor.
Dania Stravato
Bibliografia
Balloni A., (1996) Presentazione, (a cura di) Bisi R. e Faccioli P., Con gli occhi della vittima, Milano, Franco Angeli
Brickman, P., Rabinowitz, V.C., Kazura, J., Coatis, D., Cohn, E., & Kidder, L. (1982). Models of helping and coping, American Psychologist, 37
Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, (2011) Istanbul, Serie dei Trattati del Consiglio d’Europa – N° 210
Correia I., Vala J., (2003) When will a victim be secondarily victimized? The effect of observer’s belief in a just world, victim’s innocence and persistence of suffering, Social Justice Research, 16
Fanci G., (2011) La vittimizzazione secondaria: ambiti di ricerca, teorizzazioni e scenari, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, Vol. V – N. 2
Kaplan H., (2012) Belief in a Just World, Religiosity and Victim Blaming, Archive for the Psychology of Religion, 34
Longo E., De Castro P., De Santi A., et al., (2019) Violenza di Genere: riconoscere per prevenire, contrastare e assistere le donne che hanno subito violenza, Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità del 2020, Volume 33, n. 6
Valente V., (2019) 4 P di Contrasto alla violenza di Genere: Prevenzione, Protezione, Procedimento contro i colpevoli e Politiche integrate, La camera blu /About genders, n° 21
Voci A., Pagotto L., (2010) Il pregiudizio. Che cosa è, come si riduce, Roma-Bari, Editori Laterza
Sitografia
Rai1, adesso basta con i finti stupri (2021), in: https://aesteticasovietica.com/analisi-sociale/rai1-basta-finti-stupri/
Leonardi M., (2020) Quella cultura patriarcale che assolve Genovese e condanna la vittima, in: https://www.agi.it/blog-italia/idee/post/2020-11-17/cultura-patriarcale-assolve-genovese-condanna-vittima-10330139/
De Simone A., (2020) Victim blaming: la colpevolizzazione della vittima, in: https://psicoadvisor.com/victim-blaming-la-colpevolizzazione-della-vittima-16004.html
RaiPlay Le indagini di Lolita Lobosco
Perché la violenza non viene denunciata? Cinque dati per rispondere davvero – Info Data (2020)
Violenza sulle donne (2014)