«Lo sviluppo dell’identità di genere e della cultura delle pari opportunità rappresenta oggi un obiettivo fondamentale del processo educativo dei soggetti in formazione» (Robustelli, 2000). Processo che deve prevedere il coinvolgimento della società in un ampio raggio, in cui venga attenzionato e riconosciuto il valore della figura femminile, al di là della sola associazione con la figura di mamma e di moglie. Difatti, un punto centrale è quello di comprendere il ruolo della donna in più sfaccettature, non limitandosi a pensarla solo in ruoli specifici e definiti.
Una tematica analizzata relativamente al genere è la questione delle differenze di sesso, il confronto quindi tra caratteristiche fisiche e prestazioni maschili e femminili. Le varie forme di discriminazioni nei confronti delle donne, possono sfociare nella violenza di genere. Di contro, ricordiamo due articoli fondamentali della Costituzione Italiana che riconosce e tutela i diritti delle donne:
- L’articolo 3 dichiara che: «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.»
- L’articolo 37 sancisce che: «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.»
Ma come ha fatto il genere a trasformarsi in un giudizio di valore?
La psicologia sociale parla di stereotipo, che indica una struttura cognitiva costituita da conoscenze e credenze che un soggetto possiede in merito a qualcosa o qualcuno. Lo stereotipo conduce ad avere una visione semplificata della realtà (potremmo quindi incorrere in errori poiché potrebbe essere emessa una valutazione positiva o negativa senza avere a disposizioni elementi sufficienti per poterlo fare). Lo stereotipo inoltre, si acquisisce sia attraverso l‘esperienza personale, sia attraverso il processo di apprendimento sociale.
Lo stereotipo viene definito stereotipo di genere quando si costruisce sulla base degli atteggiamenti appresi nel tempo, nell’ambito di una determinata cultura di riferimento e ritenuti appropriati in maniera differenziata per donne o uomini, in virtù del loro essere biologicamente maschi o femmine. Tuttavia, quanto più una persona avrà un orientamento pregiudiziale nei confronti di una categoria (ad esempio le donne), tanto più sarà propensa ad attivare lo stereotipo relativo ogni volta che se ne presenti l’occasione (per esempio: le donne non possono ricoprire un ruolo autorevole). Ciò porterebbe quindi gli individui ad assumere quei ruoli che la società si aspetta da loro e i comportamenti e gli atteggiamenti che deviano dagli stereotipi di uomo e donna sono considerati inappropriati e prevedono punizioni sociali, come l’esclusione dal gruppo. Tali stereotipi, di conseguenza, potrebbero influenzare in maniera predominante l’atteggiamento che una società e una cultura può avere nei confronti del sesso femminile e del sesso maschile, effettuando così delle differenze. Diventa evidente quando vi sono credenze associate al sesso maschile che ricopre i ruoli più autorevoli e virili e credenze associate al sesso femminile che ricopre ruoli materni e di cura dei propri familiari.
Queste credenze stabili e radicate possono avere un forte ascendente sulle donne che le porterebbe ad aspirare a carriere in professioni come insegnante, infermiera e considerare le materie scientifiche e tecnologiche di competenza maschile (un esempio può essere rappresentato dalla Teoria della minaccia indotta dallo stereotipo di Steele, 1997). «Quando lavorano sia il marito che la moglie, è quasi sempre la donna a passare al part-time o a lasciare l’impiego per badare ai figli. Dunque, nella nostra società, una divisione del lavoro sessista, tende ancora ad affidare agli uomini il ruolo di sostegno della famiglia e alle donne il ruolo di casalinghe» (Holt, Bremner, Sutherland, Vliek, Passer, Smith, 2019: 118).
L’attribuzione degli stereotipi e dei pregiudizi relativi al genere, trovano riscontro nel fenomeno che in psicologia sociale prende il nome di “Profezia che si autoavvera” (Merton, 1968) ossia l’insieme di processi cognitivi che fanno in modo che le aspettative si avverino. È l’effetto Pigmalione: si tratta di una forma di suggestione psicologica che porta le persone a conformarsi all’immagine che gli altri individui hanno di loro, al di là della connotazione (positiva o negativa) attribuita. L’effetto Pigmalione può manifestarsi non soltanto nell’ambito scolastico ma, anche in altri contesti, come in quello lavorativo nel rapporto fra capi e dipendenti oppure in quello familiare nelle relazioni fra genitori e figli e in tutti quei contesti dove si sviluppano rapporti sociali.
Gli stereotipi, così come anche i pregiudizi, possono incidere su ciò che Albert Bandura definisce self-efficacy ossia autoefficacia (Bandura, 1977:67): «Il giudizio, riferito a un contesto specifico, relativo alla propria capacità di organizzare ed eseguire un corso di azioni adeguato a raggiungere livelli di prestazione prefissati.» Più in generale quindi, la self-efficacy concerne la convinzione che un individuo possiede delle sue capacità al fine di portare al termine un compito e soprattutto di raggiungere un obiettivo e/o risultato da lui prefissato. Essa non fa riferimento ad una generica fiducia in sé stessi ma della convinzione di poter affrontare efficacemente determinate prove, di essere all’altezza di determinati eventi, di essere in grado di cimentarsi in alcune attività o di affrontare specifici compiti. «Di fronte a richieste ambientali difficili, le persone che hanno un basso senso di efficacia diventano sempre più inefficienti nel loro pensiero analitico e di problem solving, riducono il livello di aspirazione, compromettendo le prestazioni (Wood e Bandura, 1989:69).»
Difatti, sia il senso di efficacia sia gli stereotipi, possono inficiare la prestazione e la performance in ambito lavorativo ma, sarebbe invece auspicabile riconoscere alle donne le loro infinite abilità e potenzialità nei diversi contesti di vita quotidiana; ciò ci aiuterà a raggiungere la convinzione che uomini e donne hanno lo stesso valore.
Barbara Di Nardo
Bibliografia
Benadusi L., S. Piccone Stella, A. Viteritti (2009), Dispari parità: genere tra educazione e lavoro, Guerini, Milano
Boca Stefano, Bocchiaro Piero, Costanza Scaffidi Abbate (2017), Introduzione alla psicologia sociale, III edizione, Il Mulino
Bonini N. Del Missier F. Rumiati R. (2008), Psicologia del giudizio e della decisione, Il Mulino, Bologna
Holt, Bremner, Sutherland, Vliek, Passer, Smith, (2019), Psicologia generale, capire la mente osservando il comportamento, McGrawHill
Robustelli C. (2000), Lingua e identità di genere
Zimbardo G.P., Gerrig, Richard J., Anolli Luigi, Baldi Pier Luigi (2018), Psicologia generale, II edizione, Pearson
Sitografia
https://sites.google.com/site/educarealgenere/discriminazioni-di-genere