Il disturbo dello spettro dell’autismo è una condizione entrata in maniera prepotente nel lessico comune, tanto da essere accostata a tutte le manifestazioni atipiche dei bambini. I bambini con disturbo dello spettro dell’autismo possono presentare difficoltà nello sviluppo linguistico e comunicativo, nelle abilità socio-relazionali e possono presentare spesso modalità di comportamento e interessi ristretti e stereotipati (Moderato, 2020). I sintomi si manifestano nei primi tre anni di vita del soggetto (APA, 2013).
È stato messo in evidenza (Thompson, 2007) che esistono diversi campanelli d’allarme, indicatori precoci di autismo, differenziabili in base all’età del bambino/a, di cui i principali sono (Moderato, 2020):
- Perdita di abilità precedentemente acquisite: lallazione, piccole parole, abilità sociali
- Evitamento del contatto oculare
- Preferenza per le attività in solitudine
- Difficoltà a comprendere le emozioni altrui
- Ritardo nello sviluppo del linguaggio
- Ripetizione persistente di parole o frasi (ecolalia)
- Difficoltà ad accettare cambiamenti nella routine
- Interessi ristretti
- Comportamenti ripetitivi (dondolarsi, girare su sé stessi, camminare sulle punte, ecc.)
- Reazioni insolite e intense a suoni, odori, sapori, tessuti, luci e colori.
Ricevere una diagnosi come quella di autismo per il proprio figlio/a spesso, per i genitori, significa vivere una tempesta di emozioni: stordimento, confusione, rabbia, negazione, rifiuto e senso di solitudine. L’obiettivo finale, che non è semplice raggiungere, è l’accettazione, intesa come impegno a fare spazio a ciò che ci fa male, ma che non possiamo evitare (Moderato, Presti, Dell’Orco, 2019).
Peraltro, identificare precocemente l’autismo è utile ad intervenire in una fase di vita in cui il cervello è dotato di una certa plasticità e consente quindi di ottenere una maggiore efficacia degli interventi (Lovaas & Smith, 2003).
Ad oggi, non esistono esami medici per l’autismo. La diagnosi si basa esclusivamente sull’osservazione del comportamento in modo diretto, attenendosi ai criteri del DSM-5 (APA, 2013), uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzati in ambito internazionale. Un primo aiuto può essere dato dai pediatri, che sono sensibilizzati al tema e dispongono di specifici strumenti di screening precoce per determinare se sia opportuno che il bambino/a venga valutato da uno specialista, come un neuropsichiatra infantile o uno psicologo (Moderato, 2020).
ABA: il Gold Standard per il trattamento dell’autismo
Il campo dell’autismo è diventato da tempo un luogo in cui proliferano false notizie e molteplici speculazioni; in molti casi, vengono proposti trattamenti (es. camera iperbarica, dieta senza caseina o glutine) che hanno la loro efficacia per diversi disturbi fisici, ma che non ne hanno per l’autismo (Moderato, 2020).
Già da anni, l’Istituto Superiore di Sanità (2015) ha emanato le Linee Guida per l’Autismo, definendo gli interventi basati sull’Applied Behavioral Analysis (ABA) come elettivi per il trattamento dell’autismo. Molto più che una tecnica o una terapia specifica per l’autismo, l’ABA è la scienza applicata che deriva dal corpus teorico di base dell’Analisi del Comportamento (BA; Skinner, 1953) e che si occupa della progettazione, della messa in atto e della valutazione di programmi di intervento, tesi a migliorare comportamenti socialmente significativi (Baer, Wolf, Risley, 1968; Presti, Moderato, 2019; Sulzer-Azaroff, Mayer, 1991).
Già negli anni Settanta, Lovaas (1973), un pioniere in questo campo, aveva dimostrato che i bambini con autismo che seguivano un intervento precoce e intensivo basato sull’ABA, mostravano miglioramenti significativi in diverse aree: autonomie personali, abilità comunicative, sociali, abilità cognitive, scolastiche, di gioco. Tali miglioramenti si mantenevano nel tempo (Lovaas, 1993).
Scuola, casa e comunità sono i principali contesti in cui i comportamenti dei bambini vengono misurati e valutati oggettivamente, prima di predisporre un intervento basato sull’ABA. Semplificando al massimo, il processo di valutazione e intervento ABA si articola nelle seguenti fasi (Moderato, 2020):
- Identificazione e selezione delle abilità e dei comportamenti problema (piangere, comportamenti aggressivi rivolti a sé o ad altri, ecc.);
- Formulazione chiara degli obiettivi da raggiungere;
- Scomposizione degli obiettivi complessi in obiettivi più semplici e gradualmente raggiungibili;
- Progettazione e realizzazione di interventi individualizzati per insegnare nuove abilità e ridurre comportamenti problematici;
- Verifica dell’efficacia dell’intervento, attraverso il monitoraggio continuo dei progressi verso gli obiettivi stabiliti.
Tutto questo può apparire, agli occhi di chi si confronta con l’ABA per la prima volta, come un elenco di tecnicismi che mettono in secondo piano il bisogno del bambino/a di divertirsi. In realtà, consapevole che il gioco è il contesto di apprendimento privilegiato in cui i bambini imparano a sperimentare e a sperimentarsi (ibidem), il professionista ABA combina il gioco e le attività preferite al bambino/a con attività che sono funzionali allo sviluppo di nuove abilità. Nello specifico, è grazie al processo chiamato pairing che si crea un contesto motivante all’apprendimento, in cui la figura del professionista viene presentata contemporaneamente con attività molto piacevoli e rinforzanti per il bambino, aumentando così la motivazione a stare con l’adulto e la collaborazione che servirà per le successive attività educative.
Nei più moderni approcci (Moderato, Copelli, 2010; Mosier, 2011), inoltre le attività basate sull’ABA vengono svolte alternando modalità di insegnamento in ambienti strutturati come “il lavoro a tavolino” (Discrete Trial Training o DTT), e in ambienti naturali come il tappeto o il divano di casa propria (Natural Environmental Teaching o NET), in modo da favorire la generalizzabilità delle abilità apprese. In altre parole, assecondando la motivazione del bambino/a, gli interventi basati sull’ABA permettono di guidare gradualmente il bambino/a a prendersi cura di sé, a comunicare i propri bisogni, riconoscere quelli degli altri e ad interagire con altre persone in famiglia, a scuola ed in tutti i contesti in cui desidererà relazionarsi.
Alessio Randazzo
Bibliografia
American Psychiatric Association. (2013). DSM-5. American Psychiatric Association.
Baer, D. M., Wolf, M. M., & Risley, T. R. (1968). Some current dimensions of applied behavior analysis. Journal of applied behavior analysis, 1(1)
Istituto Superiore di Sanità (2015). Legge n. 134/2015 “Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie”.
Lovaas, O. I. (1993). The development of a treatment‐research project for developmentally disabled and autistic children. Journal of applied behavior analysis, 26(4)
Lovaas, O. I., & Smith, T. (2003). Early and intensive behavioral intervention for autism. In A. E.
Lovaas, O. I., Koegel, R., Simmons, J. Q., & Long, J. S. (1973). Some generalization and follow‐up measures on autistic children in behavior therapy. Journal of applied behavior analysis, 6(1)
Moderato P., Presti G., Dell’Orco F. (2019). Cento domande sull’ACT. Firenze, Hogrefe Editore.
Moderato, P. (2020). Mio figlio non parla è autismo? Firenze, GiuntiEdu.
Moderato, P. & Copelli, C, (2010). L’analisi comportamentale applicata (ABA): metodi e procedure. Autismo e disturbi dello sviluppo, 2.8
Mosier, A. K. (2011). Applied Behavior Analysis Techniques: Discrete Trial Training & Natural Environment Training. Research Papers. Paper 226.
Presti G., Moderato P. (2019). Pensieri, parole, emozioni. CBT e ABA di terza generazione: basi sperimentali e cliniche. Milano, Franco Angeli.
Skinner, B. F. (1953). Some contributions of an experimental analysis of behavior to psychology as a whole. American Psychologist, 8(2)
Sulzer-Azaroff, B., & Mayer, G. R. (1991). Behavior analysis for lasting change. Holt, Rinehart & Winston.
Thompson, T. (2007). Making sense of autism. Paul H Brookes Publishing.
Sitografia