Il principio della parità di trattamento costituisce un valore fondamentale dell’Unione europea. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000) rappresenta uno degli strumenti internazionali a favore dei diritti dell’uomo che, all’articolo 21 paragrafo 1, vieta esplicitamente la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale affermando: “è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”.
C’è da chiedersi: come è possibile che nel XXI secolo lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender siano ancora vittime di bullismo? Come è possibile che nei loro confronti si assista ancora ad aggressioni verbali (affermazioni umilianti, veri e propri insulti e offese) e fisiche (percosse e molestie)? Può la scuola attuare strategie metodologiche per prevenire e/o contrastare questi fenomeni?
Una cultura eteronormativa binaria
Viviamo in un’epoca in cui gli adulti ancora ritengono che ci siano giochi per bambini e per bambine: le femmine, ad esempio, sono spinte a giocare con le bambole, la cucina e le pentoline, ma anche con i trucchi o stimolate alla creazione di bijoux, mentre i maschi crescono tra macchine, camion, palloni ed esperimenti scientifici. Le stesse aspirazioni personali ne risentono perché devono essere tralasciate o per scelta di conformarsi agli altri o perché in qualche modo condizionati dalla cultura. E’ così che al genere femminile vengono attribuiti tutti i compiti legati alla cura, di sé e degli altri, mentre al genere maschile vengono riservati itinerari informatici, scientifici, tecnologici. Questa dicotomia si evidenzia poi palesemente nelle scelte universitarie e quindi, successivamente, nel mondo del lavoro ma anche nella vita di tutti i giorni.
Crescendo si ritiene che, ad esempio, se un “maschio” non va in palestra o non gioca a calcio sia “diverso” perchè non corrispondente ai canoni legati all’essere eterosessuale (inteso come la persona attratta da individui del genere opposto al proprio). La stessa cosa dicasi di una “femmina” che non fa danza, che indossa abiti ritenuti “maschili” o che non si trucca.
Ma perchè questo accade?
Perchè viviamo in una società fortemente basata su una cultura eteronormativa, ovvero una cultura dove l’eterosessualità rappresenta la norma. Quando si nasce, attraverso l’osservazione dei genitali, si è subito classificati: o si appartiene alla categoria maschile o a quella femminile. Questa prima divisione implica un insieme di simboli, comportamenti, ruoli, status che segnano la vita dell’uomo e della donna in quanto tali. Il genere risulta essere un concetto non naturale, ma una costruzione culturale che determina potere e gerarchie.
Di conseguenza quello che nella nostra società è considerato come naturale è la divisione di tutti gli esseri umani come uomini e donne (Viola, 2013). Questo porta però a dimenticarsi delle alternative emarginando e dimenticando tutto ciò che non è inseribile all’interno delle due categorie. Come possiamo aiutare le nuove generazioni a formare una libera identità di genere? Può la scuola contribuire ad educare i giovani alle differenze tra i sessi e al rispetto reciproco delle peculiarità?
La scuola come palestra dell’educazione di genere
La cultura di appartenenza influenza la formazione dell’essere ma anche la formazione del genere. Nel momento in cui la donna e l’uomo assumono e interpretano i ruoli e i comportamenti derivanti dal loro essere maschio o femmina, possono decidere se adeguarsi o se trasformarli, non andando verso una neutralità ma bensì impegnandosi nella creazione di un’idea diversa, che esca dalla concezione binaria maschio-femmina.
Da qui l’esigenza di un’educazione al genere, intesa come pratica educativa, che non vuole cancellare le diversità culturali legate all’uomo e alla donna presenti nella società, ma offrire ad ogni soggetto la possibilità di assumere uno sguardo critico del mondo, di assumere il proprio ruolo nella società senza condizionamenti, di essere se stessi in un mondo in cui ciascuna persona è diversa, di potersi esprimere all’interno di una cultura flessibile al cambiamento e ricca di alternative. Se “educazione di genere” vuol dire, in generale: «l’insieme dei comportamenti, delle azioni, delle attenzioni messo in atto quotidianamente, in modo più o meno intenzionale, da chi ha responsabilità educativa in merito al vissuto di genere, ai ruoli di genere e alle relazioni di genere dei giovani e giovanissimi» (Leonelli, 2011, p.1-2), la scuola può essere considerata una delle prime agenzie educative in grado di educare al rispetto dell’identità e della differenza di genere.
Purtroppo però, ancora oggi, sembra che a scuola coesistono simultaneamente due curricoli, in contrasto tra loro: un primo esplicito, visibile e identico per maschi e femmine che convivono in classi miste, e un secondo nascosto, tacito, inconsapevole, nel quale si collocano per ragazzi e ragazze le immagini di sé come studenti e studentesse e le attese delle famiglie sul futuro dei propri figli e figlie (Biemmi, 2009). Compito della scuola è dunque quello di promuovere un profondo rinnovamento culturale, rivolgendosi a intere generazioni di bambini e bambine, ragazzi e ragazze e alle loro famiglie.
5 strategie operative
- Decostruire i condizionamenti: la scuola deve mirare a rilevare ed eliminare i condizionamenti di genere che offrono un’immagine stereotipata di bambine e bambini e promuovere una riflessione sulla dimensione di genere per anticipare questioni e proporre strumenti e metodi per combattere stereotipi, pregiudizi sessisti, omofobia. Questo implica un impegno ad educare al genere, inteso come accompagnare ad una consapevolezza di sé e del mondo che valorizzi le individualità e le differenze. Educare al genere significa anche farsi carico della potenzialità e della responsabilità trasformativa insita nel concetto di genere e, dunque, educare alla complessità e alla pluralità dei generi sfidando l’ordine dominante (Galimberti et al., 2010). La decostruzione diventa, dunque, lo strumento centrale dell’educare al genere: proprio perchè il genere è qualcosa di socialmente costruito, ciò significa che com’è possibile riconfermare e ricostruire gli stessi schemi di genere allo stesso modo è possibile decostruirli, non eliminando le differenze di genere ma mettendo in discussione l’ordine di genere dominante, aprendo alla pluralità delle differenze al di là della concezione binaria di maschilità e femminilità.
- Favorire la consapevolezza di sé: l’educazione al genere deve offrire agli studenti gli strumenti critici per comprendere se stessi e la società in cui vivono, per comprendere come la costruzione dell’identità di ognuno si formi anche nella differenza con l’altro. (Galimberti et al., 2010).
- Nuovi curricoli: l’educazione al genere implica anche il ripensamento della trasmissione dei saperi all’interno dell’istituzione scolastica, attraverso un cambiamento dei materiali su cui gli studenti apprendono. Per poter attivare questo processo di disvelamento bisognerebbe rivedere i contenuti dei curricula scolastici e inserire quei saperi tradizionalmente considerati marginali nella storia del mondo come, ad esempio, la storia delle donne o delle minoranze etniche.
- La figura dell’insegnante: l’insegnante non può essere neutrale e porsi come modello di un apprendimento asessuato, poiché ciò rischia di eludere il problema, contribuendo a consolidare una falsa neutralità che produce di fatto disuguaglianze. Qualsiasi docente rischia di essere incosapevolemente un veicolo di pratiche didattiche e relazionali sessuate, intendendo con ciò che è vittima di atteggiamenti stereotipati relativamente al genere degli/delle studenti/esse e delle discipline insegnate. Se, infatti, questi pregiudizi e comportamenti non sono esplicitati e sottoposti a critica rischiano di passare come messaggi educativi distorti che rispecchiano valori obsoleti elaborati dal sapere-potere secolare dell’ordine di genere. E’ dunque importante fare attenzione al linguaggio che si utilizza nella relazione in classe con i propri studenti e studentesse. Fare attenzione alla differenza di genere nel linguaggio significa non silenziare le differenze ma dare visibilità linguistica anche alle donne, per tale ragione declinare al maschile e al femminile è una “buona prassi” da utilizzare nelle aule scolastiche (Galimberti et al., 2010).
- Metodologie didattiche: per un’educazione al genere è importante utilizzare preferibilmente metodologie attive che facilitino la partecipazione nel processo educativo, come la narrazione, il lavoro di gruppo, l’analisi dei casi, il brainstorming, il role play, il problem solving, le storie di vita e le biografie. Queste metodologie permettono di iniziare ad esercitare forme di cittadinanza attiva in quanto consentono di impiegare le proprie risorse in contesti di relazione umana e di sviluppare le proprie capacità di partecipazione attiva alla vita sociale come donne e uomini (Galimberti et al., 2010). Inoltre, il docente dovrà stare attento a non dividere gli studenti in maschi e femmine, tanto meno dovrà assegnare attività diverse a seconda del sesso biologico.
In conclusione, possiamo asserire che la scuola può essere considerata come lo spazio educativo in cui ciascuno sia libero di essere se stesso e di costruire il proprio progetto di vita al di là di modelli rigidi socialmente e culturalmente trasmessi, rispettando il modo di essere e i progetti dell’Altro; come luogo dove non si miri ad eliminare le differenze ma si punti a valorizzare le diversità considerandole come risorse per stare al mondo.
Barbara Bianchessi
Bibliografia
Batini, F., (a cura di), 2011, Comprendere la differenza. Verso una pedagogia dell’identità sessuale, Armando Editore
Biemmi, I., 2009. Genere e processi formativi. Sguardi femminili e maschili sulla professione di insegnante, Pisa, Edizioni ETS
D’Ippoliti C., Schuster, A., (a cura di), 2011, DisOrientamenti. Discriminazione ed esclusione sociale delle persone LGBT in Italia, Roma, UNAR
Gamberi C., Maio M.A., Selmi G. (a cura di), 2010, Educare al genere. Riflessioni e strumenti per articolare la complessità, Roma, Carocci
Leonelli, La Pedagogia di genere in Italia: dall’uguaglianza alla complessificazione, in Ricerche di Pedagogia e Didattica, 2011, 6(1)
Ruspini, E., (a cura di), 2004, Le identità di genere, Roma, Carocci
Viola L., 2013, Al di là del genere, Milano, Mimesis Edizioni
Sitografia
https://www.europedirect.unisi.it/wp-content/uploads/sites/32/2015/11/carta-dei-diritti.pdf