Covid-19 VS Spazi della gioia

Spesso consideriamo la parte produttiva della società come quella apprezzabile della vita, mentre l’attività sociale, che sia danza, teatro, arte, festa, un aperitivo o una cena tra amici, come attività sussidiaria. Ciò sembra essere vero nella nostra società e ancora più vero se analizziamo la gestione della pandemia in Italia su “chiusure e aperture” a partire dal 25 febbraio 2020.

«Il virus minaccia proprio le relazioni e i decreti di emergenza interrompono ogni relazione sociale salvo, per adesso, il lavoro»[Pietro Clemente, 2020]. Il lavoro viene assimilato alla produzione di beni e, la produzione stessa è ritenuta indispensabile per la società infatti come afferma Georges Bataille «qualsiasi giudizio generale sull’attività sociale sembra sottintendere il principio che ogni sforzo particolare dev’essere riducibile, per essere valido (e utile), alla necessità fondamentale della produzione e della conservazione sia dei beni materiali sia delle vite umane stesse» [Bataille, 1992:41].

Ma è davvero così?

 Probabilmente non esiste un mezzo corretto che consenta di definire ciò che è utile e indispensabile agli esseri umani e forse non viene in mente, sempre citando Bataille, che «l’umanità potrebbe avere bisogno di perdite considerevoli di energia, in conformità a bisogni definiti, di tumultuose depressioni, di crisi di angoscia, e infine di un certo stato orgiastico» [Ivi:43].

Sempre Bataille, ci dice che «la fonte e l’essenza della nostra ricchezza sul pianeta sono date dall’irradiazioni del Sole che dispensa l’energia (la ricchezza) senza contropartita. Il sole da senza mai ricevere. L’irradiazione ha per effetto la sovrabbondanza di energia sulla superficie del globo. La materia vivente accumula questa energia nei limiti dati dallo spazio che abita, infatti è la grandezza dello spazio terrestre che ne limita la crescita. Ne consegue l’esistenza di un’energia eccedente, che non potendo essere utilizzata per la crescita, dovrà poi essere perduta, dissipata» [Ivi:80]

Come l’uomo consuma questa energia eccedente che Bataille chiama anche “effervescenza della vita” Attraverso la “perdita”; proprio dissipando e disperdendo l’energia per mezzo di quelle attività, solo apparentemente improduttive, che qui chiameremo “spazi della gioia”. Danzare, giocare, incontrarsi per una cena tra amici, festeggiare. Potremmo dire che la festa rappresenti dunque l’attività principale attraverso cui gli esseri umani esprimono il sentimento di gioia e al contempo consumano l’energia eccedente, infatti «radunandosi per la festa gli uomini soddisfano il bisogno che hanno di distruggere un accumulo eccessivo di energia vitale. Si tratta della gioia dionisiaca della distruzione e dello spreco» [Aria, 2019:90]. La pandemia ha evidentemente affettato tutti questi spazi, quelli della cultura e dell’intrattenimento, della condivisione, della vita sociale: gli “spazi della gioia”.

Ma cos’è la gioia? E cosa la accumuna al virus?

Quella che Bataille ha definito energia eccedente è chiamata da Paolo Apolito “effervescenza emotiva” [Apolito, 2014]. Questa coincide con «l’esperienza più immediate della gioia e, anche se pare che sgorghi da dentro di sé, in realtà la gioia di ciascuno viene mimeticamente da quella di tutti e si diffonde corpo per corpo; la gioia festiva obbliga alla gioia, contagia e non c’è alternativa alla resa» [ivi:175] La gioia è l’ordito del sentimento di festa come sostiene Apolito e si diffonde corpo a corpo proprio come un virus.

Ma altri tratti caratterizzano la gioia, come «perdere i confini di sé stesso: eros e sesso e altre forme di caduta dei confini tra corpi, distanza fisica ridotta o quasi annullata, abbracciarsi, toccarsi, baciarsi, piangere, ridere. Ridere assieme è il più potente lubrificante dei legami sociali» [ivi:177]. Dunque baciarsi, abbracciarsi, toccarsi e una distanza fisica ridotta favoriscono la diffusione della gioia ma oggi anche la diffusione del virus e per contrastarlo è fatto divieto di assembramento ovvero di generare folle, ma parafrasando ancora Apolito è proprio nell’esperienza contemporanea della folla che cadono i confini del sé [ibidem,2014].

Oggi non possiamo nemmeno immaginare di trovarci in mezzo ad una folla dentro uno stadio o ad un grande concerto, ma neanche ad una festa di matrimonio con centinaia di invitati. È come se il covid-19, prediligendo tutti quegli “spazi della gioia”, si sostituisse alla gioia stessa generando una condizione di sofferenza dove, come afferma Virginia De Silva «quello sofferente è un corpo collettivo e, per quanto il nostro proprio non sia quello che prova dolore, attraverso i corpi sofferenti altrui ci accorgiamo del nostro. Apriamo le porte con il gomito, starnutiamo nell’incavo del braccio […] non abbracciamo e non baciamo. Stringere la mano, segno di educazione, diventa adesso un gesto di minaccia alla salute pubblica» [De Silva, 2020].

Come facciamo nella condizione di confinamento, restrizioni e sofferenza a consumare l’energia eccedente e perché è fondamentale che la dissipazione avvenga?

Festeggiando non solo si consuma l’energia eccedente ma si alimenta quel senso di “abbondanza di umanità” infatti, come dice lo stesso autore «si avverte un sentimento di più, un godimento di abbondanza di umanità, un piacere degli altri» [Apolito, 2014:186-187].

In questa nuova dimensione modificata dove «tutti gli spazi, reali e immaginati, di mobilità si sono ridefiniti: la porta di casa, il balcone; ma in un processo di ricostruzione, sono anche il confine e gli schemi corporei ad essere ridisegnati» [De Silva,2020] quelli che abbiamo chiamato “spazi della gioia” sono chiusi e le pratiche della gioia proibite.

Sembra davvero impossibile pensare al nostro corpo fuori dai confini dello stesso.

Rischiamo quindi di perdere quella che Apolito chiama percezione del Noi, ossia l’ampliamento del proprio io, il fare parte di una comunità, il condividere? O in una situazione di “socialità modificata” [cfr., Dei, 2020] troveremo nuove forme di dissipazione dell’energia eccedente, nuove pratiche di condivisione e costruzione del Noi?

Anastasia Francaviglia

 

Bibliografia

 Apolito P., Ritmi di festa. Corpo, danza, socialità, Il Mulino, 2014, Bologna.

Aria M., I doni di Mauss, Cisu, 2019, Roma.

Baricco A., Quel che stavamo cercando, Feltrinelli, Milano, 2020.

Bataille G., La parte maledetta, Bollati Boringhieri,1992,Torino.

Dubini P., Con la cultura non si mangia. Falso!, Gius. Laterza & Figli, 2018, Bari – Roma.

Hyde L., The Gift. Immagination and erotic life of property, 1983, New York.

Scandurra G., E se gli antropologi avessero qualcosa da dire sul Covid-19?, in «Rivista di Antropologia Contemporanea», 1/2020, Il Mulino, Bologna.

Wilk R., Economie e Culture. Introduzione all’antropologia economica, Bruno Mondadori, 2007, Milano.

Sitografia

Clemente P., Sugli effetti del Coronavirus, http://fareantropologia.cfs.unipi.it/wp-content/uploads/2020/03/Pietro-Clemente-intervista-a-LUnione-Sarda

Dei, F. L’antropologia e il contagio da coronavirus – spunto per un dibattito, http//fareantropologia.cfs.unipi.it/notizie/2020/03/1421/, 2020.

De Silva, V. Mobilità corpi e confini, in «Storie virali/Atlante», https://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Storie_virali_Mobilita_corpi_e_confini.html

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.