L’importanza dello sviluppo di competenze nei contesti organizzativi

Oggi l’acquisizione di competenze specifiche è fondamentale per ogni lavoratore all’interno di una organizzazione. Il mercato del lavoro richiede una graduale acquisizione delle competenze, sempre più specifiche in modo che il lavoratore sia più appetibile per il mercato del lavoro ma anche per far fronte ai compiti lavorativi che il contesto organizzativo reclama. Questo è dovuto ai repentini sviluppi tecnologici, in quanto le aziende richiedono sempre più spesso dipendenti che abbiano sempre più alti livelli di specializzazione. È inoltre necessario che un lavoratore sia in grado di eseguire più compiti e mansioni poiché spesso accade che si cambino posizioni all’interno dell’organizzazione stessa (job rotation). A causa di tali richieste del mercato, i lavoratori necessitano di una spiccata flessibilità e, inoltre, devono essere in grado di integrare in modo autonomo sistemi di saperi diversi costruiti lungo il loro personale percorso lavorativo (Fraccaroli, 2007).

In che modo è possibile studiare le competenze e il loro conseguimento?

È necessario, quando si parla di acquisizione di competenze e conoscenze, affrontare la tematica dell’apprendimento in quanto uno degli obiettivi della formazione è quello di far apprendere, a chi ne fruisce, delle competenze indispensabili volte allo svolgimento di un compito e al relazionarsi proattivamente nel contesto organizzativo. In particolar modo, l’apprendimento esperienziale è, una delle modalità per acquisire le competenze richieste dal mercato. Ripercorrendo il modello del pedagogista britannico Peter Jarvis, l’apprendimento parte sempre dall’esperienza e in particolar modo dall’esperienza sensoriale. Quando l’individuo utilizza i propri sensi per entrare in contatto con qualcosa di nuovo,  esegue una sorta di confronto con le proprie esperienze passate e consolidate; questo fa si che nel soggetto si crei una “incongruenza”. In questo caso la persona si ritroverà a dover compiere una scelta, Jarvis identifica tre possibili percorsi (Bulgarelli, Barbaro, Di Lieto, Francischelli, Premutico, Richini, 2012):

  1. Non apprendimento: l’individuo, inserito in uno specifico contesto, reagisce all’esperienza senza che vi sia alcun apprendimento, reagendo in modo meccanico o attraverso una “presunzione” (presumption), cioè una modalità che ha già funzionato bene in passato.
  2. Apprendimento non riflessivo: si ha quando l’individuo memorizza un’esperienza quotidiana senza che vi sia una riflessione o un’attenzione del pensiero (come nel caso dell’acquisizione di una competenza motoria o di un’abilità linguistica); l’individuo, in questo caso, apprende attraverso l’esercizio pratico senza che vi sia un coinvolgimento più profondo e memorizza l’informazione.
  3. Apprendimento riflessivo: in questo tipo di apprendimento l’individuo si trova ad analizzare e prendere decisioni rispetto ad una situazione su in piano puramente intellettuale; in situazioni di problem solving quest’ultimo riflette prima e durante la messa in atto di un comportamento. Infine il soggetto realizza una effettiva sperimentazione apprendendo conoscenze pragmatiche. 

All’interno di una organizzazione complessa, ben strutturata ed in continua espansione, è opportuno se non addirittura essenziale, che l’apprendimento utilizzato dal soggetto sia di tipo riflessivo, in quanto, in tali contesti, è importante che vi sia una costante riflessione sul compito che si sta eseguendo. Fondamentale è la capacità del lavoratore di acquisire tali competenze ed essere in grado di utilizzarle al momento corretto, cercando di non cadere, erroneamente, nella reiterazione di “presumption” che risulterebbe poco utile.

Il concetto di apprendimento esperienziale di Jarvis è più ricco rispetto ad altri modelli teorici in quanto comprende processi e percorsi non ancora affrontati su altre modellizzazioni. Ogni esperienza, secondo il pedagogista, avviene dentro la sfera soggettiva dell’individuo, che è in continuo mutamento, non solo perché cambia l’ambiente che lo circonda ma anche perché varia il modo in cui il soggetto intende coinvolgersi nei cambiamenti. Il risultato finale del processo di apprendimento è la trasformazione dello stato iniziale della persona; tale cambiamento può tradursi: nell’acquisizione di maggiore esperienza, nell’attribuzione di nuovi significati agli eventi e nell’evoluzione dei propri atteggiamenti verso l’esperienza (ibidem).

Quali sono le competenze da sviluppare?

Non bisogna però dimenticare due tipologie di competenze cardine per un lavoratore: hard skill, abilità tecniche che implicano l’utilizzo di strumenti utili per quella specifica mansione; soft skill, che racchiude invece abilità come la capacità di autogestirsi ed abilità interpersonali come ad esempio il modo in cui si gestiscono le proprie interazioni con gli altri (Laker, Powell, 2011). Oltre alle già conosciute competenze tecniche ed emotive vi è un’altra importante competenza, forse meno celebre, è quella organizzativa, cioè “la capacità di una persona di leggere, capire il contesto in cui si trova e collocarsi utilmente, realisticamente al suo interno” (Carli, Paniccia, 1999).

Può sembrare, erroneamente, una competenza alla portata di tutti, quasi ovvia; ma la lettura del contesto, eseguita in modo competente, è qualcosa di complesso, perché presuppone l’utilizzo di un “pensiero emozionato” , come viene definito dagli autori. Tale competenza comporta una comprensione dell’organizzazione, dei suoi obiettivi, ruoli e funzioni, ma anche una comprensione della traduzione emozionale che dell’organizzazione viene data da sé e dagli altri (Ibidem).

Sviluppo di competenze come vantaggio a lungo termine

Il mercato del lavoro è quindi alla ricerca costante di lavoratori sempre più qualificati, che siano in grado di adattarsi ai cambiamenti in atto e capaci di sviluppare competenze del tutto nuove. Il miglioramento di quest’ultime rappresenta un potenziale vantaggio per la società, per gli individui e per le aziende. Infatti, l’aumento del livello di competenza, consente agli individui di entrare in modo più agevole nel mondo del lavoro rimanendovi e progredendo all’interno della propria posizione. Al contempo però anche l’organizzazione ne giova in termini di: aumento delle performance aziendali, competitività ed innovazione (Fraccaroli, 2007).

Ormai quelle competenze che un tempo erano riservate, di norma, all’area manageriale come: gestione del rischio, del tempo, dello stress, capacità di pianificare, gestire dei gruppi e parlare in pubblico, sono diventate essenziali nel mercato del lavoro anche per chi non fa parte dei vertici aziendali (Ibidem)

Nello scenario moderno, l’individuo deve essere sempre pronto a sviluppare nuove competenze; per questo è necessario entrare nell’ottica attuale del Lifelong Learning, cioè: “un processo continuo di apprendimento nell’arco della vita, condotto attraverso programmi organizzativi, di formazione formale o programmi di autosviluppo individuali”(Ashleigh, Mansi, Di Stefano, 2014).

Oggigiorno, le condizioni economiche, sociali e tecnologiche, richiedono un’importante revisione della relazione che intercorre tra apprendimento ed istruzione. Non siamo più all’interno di una struttura educativa basata sull’apprendimento in classe, ma siamo nel processo di transizione verso una nuova prospettiva, dove l’individuo diviene responsabile nei confronti del proprio apprendimento confrontandosi con una moltitudine di ambienti che lo accompagnano lungo tutto il ciclo di vita (Kolb, 2015). Questa nuova prospettiva riguarda l’individuo ed il suo sviluppo personale nella moltitudine di ruoli che esso ricopre: membro della famiglia, cittadino e lavoratore. Le istituzioni devono affrontare tali cambiamenti e sostenere l’individuo per tutta la sua vita (Ibidem).

Le aziende che abbracciano tale prospettiva vengono chiamate “learning organization”, ovvero un’organizzazione abile nel creare, acquisire e trasferire conoscenze e nel modificare il proprio comportamento per riflettere nuove conoscenze e intuizioni (Hübner, 1995).

Oggi, chi ricopre un ruolo in una determinata professione non ha necessità di fossilizzarsi su un settore in quanto resterebbe ancorato ad una concezione arcaica del lavoro, precludendosi la possibilità di conoscere nuove prospettive; è necessario, invece entrare nell’ottica che anche da un licenziamento vi sia la possibilità di rinascita individuale e professionale, e conseguentemente la scoperta di una nuova strada da intraprendere, che possa dare all’individuo più occasioni, ma anche la possibilità di apprendere nuove
competenze da poter usufruire nell’intero arco della sua vita.

Emanuele Duro

Info

 

 


Bibliografia

Ashleigh, M., Mansi, A., & Di Stefano, G. (2014). Psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Milano: Pearson, 11

Bulgarelli, A., Barbaro, R., Di Lieto, G., Francischelli, E., Premutico, D., & Richini, P. (2012). Strumenti per la formazione esperienziale dei manager. Roma: ISFOL, 1

Carli, R., & Paniccia, R. M. (1999). Psicologia della formazione. Bologna: Il Mulino, 4

Fraccaroli, F. (2007). Apprendimento e formazione nelle organizzazioni. Bologna: Il Mulino, 2

Laker, D. R., & Powell, J. L. (2011). The differences between hard and soft skills and their relative impact on training transfer. Human Resource Development Quarterly, 22(1)

Hübner, S. (1995). Building a learning organization. Harvard Business Review, 75(5)

Kolb, D. A. (2015). Experiential learning: Experience as the source of learning and development (2nd ed.). Saddle River, NJ: Pearson. 8

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