Ambientamento nei servizi educativi in tre giorni: è possibile?

 

Negli ultimi anni, all’interno di nidi e scuole dell’infanzia, è stata introdotta una nuova metodologia per accogliere il bambino/genitore denominata “ambientamento partecipato”. In cosa consiste? In cosa differisce dall’inserimento tradizionale? E’ possibile rivoluzionare il radicato modello di ambientamento riducendolo in tre giorni?

Dall’ “inserimento” all’ “ambientamento”

Il tema dell’accoglienza dei bambini e dei genitori nei servizi per la prima infanzia costituisce un aspetto centrale della cultura pedagogica italiana (Mantovani, 2000). L’ingresso in un servizio educativo in molti casi è il primo passo di un’esperienza educativa che si svolgerà in un contesto extra-familiare insieme ad altri bambini, con altri adulti, coincidente con il distacco dalle figure di riferimento familiari. In questo contesto si giocano fin da subito temi educativi complessi legati, per esempio, a come sostenere i primi momenti di allontanamento del bambino dalle figure familiari, come mediare il confronto con l’altro e come gestire l’incontro/scontro tra stili educativi, valori e culture dell’infanzia (Bove, 2012).

Nonostante spesso nel linguaggio comune i termini “inserimento” ed “ambientamento” vengano utilizzati come sinonimi, essi rimandano a due processi che avvengono a partire da premesse differenti. “Inserire” significa, letteralmente, “mettere una cosa dentro l’altra“ (dizionario Treccani). L’inserimento richiama, quindi, l’idea di includere un elemento nuovo (nel nostro caso: il bambino) in un insieme già completo/compiuto (il servizio educativo), in un’organizzazione che tiene prevalentemente conto del ruolo dell’educatore per favorire l’ingresso nel contesto educativo. Un processo, quindi, di introduzione fredda, meccanica e spersonalizzata.

Per “ambientamento”, invece, si intende un processo attraverso il quale il sistema famiglia – bambino e l’ambiente educativo si adattano l’uno all’altro con modalità e strategie progettate. Si identifica con il periodo necessario affinché bambini, genitori ed educatori si integrino in un clima comunicativo-relazionale. È quindi un processo attivo in senso biologico, psicologico, emotivo, sensoriale, cognitivo.

Le teorie dell’attaccamento alla base dell’ambientamento

Per il bambino l’ambientamento rappresenta l’entrare a far parte di un ambiente sociale nuovo, allargato rispetto a quello familiare vissuto fino ad ora, che lo porta a vivere un’esperienza emotivamente ricca di sentimenti contrastanti: desiderio d’incontro, avvicinamento, interesse nei confronti di spazi, oggetti e bambini non conosciuti, ma anche momenti di nostalgia e bisogno di sostegno da parte dell’adulto. Il bambino si trova, infatti, ad affrontare  un viaggio che lo condurrà verso la costruzione di nuove relazioni con persone diverse dalle figure familiari, e gradualmente a “tollerare” la frustrazione che nasce dal distacco, aprendosi piano piano a nuovi affetti. 

La costruzione dei legami affettivi, tra cui quello primario di attaccamento, è secondo Bowlby (Holmes, 2017) strettamente legato alla relazione tra madre e bambino nei primissimi giorni di vita. Egli ha definito questo legame come “sistema motivazionale primario” innato a ricercare e mantenere la vicinanza con la figura primaria. A differenza di Freud per il quale il bambino appena nato vive in uno stato di “narcisismo primario” e sperimenta una crescita di tensione in relazione al bisogno di nutrimento; secondo Bowlby la questione più importante non è l’appagamento del nutrimento ma la sicurezza. A muovere il bambino nelle esperienze nuove è il bisogno di vicinanza e il contatto fisico con una persona di riferimento, soprattutto in situazioni particolari (paura, difficoltà, spavento, panico…) che possiamo definire “bisogno primario di attaccamento”. Anche esperimenti concreti dimostrano che è necessario che il bambino abbia un attaccamento sicuro  e di fiducia nei confronti del genitore per esplorare il mondo.  (Ainsworth, 2016). 

L’ambientamento partecipato: in cosa consiste?

Applicando la teoria dell’attaccamento al primo contatto del bambino con un ambiente diverso dalla propria famiglia è evidente che, per essere sereno, nei primi momenti di frequenza è fondamentale che la presenza del genitore sia rassicurante e di mediazione rispetto al nuovo ambiente.

Qualunque sia l’approccio che si vuol mettere in atto, non bisogna dimenticare che accogliere un bambino vuol dire accogliere l’intera sua famiglia. Il bambino, infatti, per accettare il nuovo contesto ha bisogno di “sentire” il sostegno dei genitori, di “sentire” che essi si fidano delle persone che lo vivono. Per questo è fondamentale fin da subito la convinzione e la tranquillità del genitore, poiché egli trasmette inconsapevolmente i propri stati d’animo al figlio. Per far fronte a questo bisogno negli ultimi anni si è affermata una nuova modalità di “accoglienza” nei servizi all’infanzia 0-6 denominata “ambientamento partecipato”.

Pratica importata dai paesi Nord Europei e adattata al territorio italiano, prevede, nella fase di ingresso, la presenza continua del genitore che accompagna ed affianca il proprio bambino nella scoperta di un mondo nuovo al quale il piccolo dovrà presto abituarsi.Bambino e genitore trascorrono, infatti, insieme l’intera giornata per tre giorni consecutivi. Insieme esplorano il nuovo ambiente, conoscono gli educatori e gli altri bambini, vivendo tutte le routine previste. Condividono il momento del pasto, del gioco, e delle attività. È il genitore che cambia il piccolo, lo accompagna nel momento della nanna ed è lì ad attendere il suo risveglio. 

In questi tre giorni l’educatore osserva le abitudini del bambino, affianca il genitore ed entra in contatto con loro in modo graduale, diventando con il tempo una figura familiare per entrambi. Il quarto giorno il genitore lo accompagna, lo saluta e si allontana. Grazie a questa modalità i bambini acquisiscono familiarità con gli spazi e con l’organizzazione temporale di quell’ambiente che hanno imparato a conoscere insieme al genitore; osserva come quest’ultimo interagisce con l’educatore e, vedendone l’espressione e l’atteggiamento ‘sereno’, prende sicurezza e fiducia in questi adulti che faranno parte per un po’ di tempo della sua vita.

Come creare un “ponte di fiducia” tra educatori e genitori

L’inserimento tradizionale prevede un approccio al nuovo contesto per gradi, in genere, circa due settimane. Il primo giorno, il genitore passerà un’ora insieme al bambino; dal secondo giorno il bambino sarà solo prima un’ora, poi un’ora e mezza. Il  quarto giorno mangerà a scuola per poi, nella settimana successiva, frequentare, molto gradualmente, per l’intero orario.  In alcune realtà, addirittura già dal primo giorno i bambini salutano gli accompagnatori appena arrivati, e affrontano immediatamente la nuova realtà da soli.

Con l’ambientamento partecipato il genitore:

  • ha più possibilità di entrare in relazione con gli educatori ed instaurare un rapporto di fiducia “vivendo” l’intera giornata con loro;
  • può immaginarsi un domani gli educatori in relazione al proprio bambino, osservando come si rapportano anche con gli altri bambini presenti.

L’educatore invece:

  • ha la possibilità di toccare con mano le modalità in cui entrano in relazione bambino – genitore, le loro abitudini, non solo sentendole raccontare durante i colloqui;
  • riesce ad individuare eventuali strategie che si potranno mettere in atto con i bambini quando non ci saranno gli adulti di riferimento;
  • crea, mettendosi “a nudo” davanti alle famiglie, un rapporto di fiducia con i genitori sicuramente in minor tempo rispetto a prima e questo non può che migliorare da subito la qualità del lavoro educativo;
  • è facilitato nell’accogliere eventuali ansie, dubbi o richieste dei genitori che, se all’inizio può sembrare una fatica, questa verrà ripagata dall’ingresso sereno del bambino. 

E il bambino?

I bambini si mostrano più sereni sia perché le ore che passano con il genitore prima di essere lasciati da soli sono molte, sia perché i genitori, potendo vedere e toccare con mano cosa accade, sono più consapevoli, convinti, tranquilli e ciò viene trasmesso ai figli.  

barbara bianchessiBarbara Bianchessi

Info

 

 

Bibliografia:

Ainsworth M.D., 2006, Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità. Scritti scelti. Raffaello Cortina editore

Bove C., 2012,  Accogliere i bambini e le famiglie nei servizi per l’infanzia: le ‘culture’ dell’inserimento/ambientamento oggi, Rivista Italiana di Educazione Familiare, n. 1

Mantovani S., Saitta L.R. e Bove C., 2004, Attaccamento e inserimento. Stili e storie delle relazioni al nido. Milano, Franco Angeli

Holmes J., 2017, La teoria dell’attaccamento. John Bowlby e la sua scuola. Raffaello Cortina editore

Treccani, 2017, Dizionario della lingua italiana, Giunti

Sitografia:

https://img.educare06.it/uploads/24872399329beb0cf4c17b46f4345d76_Educare06_n2.pdf

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