Proteggere lo status quo: a che serve una teoria del complotto

I complotti vengono spesso pensati come narrazioni alternative che hanno lo scopo di attaccare lo status quo e la versione ufficiale dei fatti, nel tentativo di evidenziarne criticità e problematiche. La ricerca, però, sembra mostrare che a livello cognitivo la funzione dei complotti sia l’esatto opposto.

Studi recenti sembrano dimostrare che le persone tendono ad ad essere attratte dalle teorie cospirative quando queste soddisfano importanti bisogni psicologici che le spiegazioni ufficiali non soddisferebbero, come trovare un senso in un mondo caotico (van Prooijen, 2012), evitare sensazioni di incertezza (Van Prooijen, Jostmann, 2013; Whitson et al., 2015) o scongiurare sensazioni di impotenza davanti ad un mondo in costante mutamento (Van Prooijen, Acker, 2015).

La credenza in teorie cospirative è inoltre correlata con:

  • narcisismo collettivo: cioè la credenza che il proprio gruppo sia grandioso ma al contempo non rispettato a sufficienza (Cichocka et al., 2017); 
  • bisogno di chiusura cognitiva: fenomeno per cui è più importante ottenere una spiegazione approssimativa che non ottenerne affatto (ibidem).

Perché le persone credono alle teorie cospirative?

Come notato da Goertzel (2010), una teoria cospirativa fornisce un soggetto tangibile da incolpare anziché far ricadere la colpa su forze sociali astratte o impersonali: un piccolo gruppo di trasgressori nel sistema è responsabile per i mali della società, distogliendo l’attenzione dai problemi intrinseci della società stessa.

Questo è quanto avvenuto, ad esempio, con il fenomeno QAnon, teoria cospirativa diffusasi su facebook. Al suo nucleo troviamo la convinzione che la Cabal, setta di individui potenti del mondo della politica, sia responsabile di una cospirazione ai danni dell’intero genere umano. I soggetti accusati dai complotti non sono presentati come caratteristici della società in generale, ma appartenenti a gruppi con interessi speciali, come corporazioni o elementi corrotti del governo. Nel caso di QAnon, si trattava di esponenti politici come Hillary Clinton e George Soros, ma anche celebrità come Tom Hanks.
Al contrario, non è mai messa in dubbio la pericolosità intrinseca di Facebook: esso però agisce come camera di risonanza mostrando agli utenti solamente la narrazione che preferiscono, alimentando così polarizzazione di gruppo e bias di conferma (Quattrociocchi et al., 2016).

Come spiegato in ‘’La Q di Qomplotto’’ di Wu Ming 1, i social network possono divenire vere e proprie estensioni della psiche, che tutti danno per scontate. Per questo motivo, infatti, Zuckerberg non sarebbe mai stato immaginato come membro della Cabal al contrario di personaggi dello spettacolo o della politica. I sostenitori di Qanon si immaginavano come nemici del sistema, ignorando però lo strapotere della piattaforma che stavano utilizzando, in quanto ‘’plasmava l’ambiente del loro comunicare’’. Così, ancora una volta lo status quo non viene messo in discussione.

La funzione delle teorie cospirative

I risultati suggeriscono che, anziché attaccare il sistema così com’è, le teorie del complotto possono sostenere lo status quo. Nello studio di Goertzel (2010) si è trovato che esse proliferano quando la legittimità del sistema sociale è minacciato: l’esposizione a teorie del complotto si è mostrata in grado di aumentare la soddisfazione con lo status quo e, al contempo, indurre le persone ad attribuire i problemi della società ad un gruppo ristretto di individui, anziché a caratteristiche interne della stessa.

Le teorie del complotto sembrano quindi svolgere la funzione di difendere il sistema sociale quando la sua legittimità è sotto attacco. Essi portano l’attenzione su alcuni dei più tragici e rilevanti eventi della vita moderna, ma spesso impedendo alle persone di mettere in dubbio le reali limitazioni e problematiche della società in cui vivono.

Vaccinarsi contro i complotti?

La natura stessa dei social media permette alla disinformazione ed ai complotti di diffondersi rapidamente, proprio come un contagio virale. In uno studio condotto da Cook e colleghi (2017) si è trovato che è possibile arrestare il ‘’contagio’’ mettendo in guardia le persone.

Se, prima di discutere di una notizia falsa, si avvertono le persone che potrebbero ascoltare informazioni false, è probabile che il semplice avvertimento le renderà più resistenti alla disinformazione, producendo resistenza cognitiva (ibidem). Così, proprio come un vaccino “mette in guardia” l’organismo da un’infezione, la “vaccinazione psicologica” stimola l’elaborazione di contro-argomentazioni che impediranno alla futura disinformazione di fare presa sulle persone. Prevenire è, nella lotta alla disinformazione, la migliore cura possibile.

donatoAntonio Donato

Info

Bibliografi

Cook, J., Lewandowsky, S., Ecker, U. K. (2017), “Neutralizing misinformation through inoculation: Exposing misleading argumentation techniques reduces their influence”, in PloS one

Douglas, K. M., Sutton, R. M., Cichocka, A. (2017), “The psychology of conspiracy theories”, in Current directions in psychological science, 26(6), 538-542.

Goertzel, T. (2010), “Conspiracy theories in science: Conspiracy theories that target specific research can have serious consequences for public health and environmental policies”, EMBO reports, 11(7)

Quattrociocchi, W., Scala, A., Sunstein, C. R. (2016), Echo chambers on Facebook

Van Prooijen, J. W., Acker, M. (2015), “The influence of control on belief in conspiracy theories: Conceptual and applied extensions”, in Applied Cognitive Psychology, 29(5)

Wu Ming 1 (2021), La Q di Qomplotto, Alegre, Roma

Van Prooijen, J. W., Jostmann, N. B. (2013) “Belief in conspiracy theories: The influence of uncertainty and perceived morality”, in European Journal of Social Psychology, 43(1)

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