Workaholism: può il lavoro diventare una dipendenza?

 

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Nel 1971 Oates coniò il termine Workaholic per indicare un soggetto il cui comportamento compulsivo nei confronti del lavoro è analogo a quello dell’alcolista nei confronti dell’alcol. Il worhaholism è un disturbo ossessivo-compulsivo (non ancora inserito nel DSM V) annoverato tra le “nuove dipendenze”, la cui caratteristica principale che lo differenzia dalle altre forme di dipendenza classiche è una modalità di comportamento abusante in cui non è implicato l’uso di alcuna sostanza chimica. Nel caso del workaholism l’oggetto della dipendenza è il lavoro, e dunque un elemento riconosciuto come attività normale.

La dipendenza da lavoro è un disturbo grave con effetti dannosi sulla persona coinvolta, sulla famiglia e sulla salute, ma ancora molto poco considerata in quanto l’oggetto stesso della dipendenza è un’attività necessaria e parte della vita di tutti. Questo fa si che spesso il disturbo venga diagnosticato solo quando compaiono visibilmente dei disturbi fisici o psichici gravi o in fase avanzata. E’ stata infatti denominata “la dipendenza ben vestita” e viene considerata una dipendenza “positiva”. Il workaholic riempie i giorni, i mesi e l’intera esistenza con il lavoro.

Ma cosa spinge alcune persone a escludere tutto per dedicarsi soltanto al lavoro?”

Il bisogno di rifuggire dalle emozioni, dal contatto con il proprio sé e dalle relazioni intime spinge a dedicarsi al lavoro in modo ossessivo. Il vero workaholic dedica molto più tempo al lavoro di quanto in realtà il lavoro ne richieda e soprattutto non è spinto da necessità esterne (bisogni economici) ma da necessità puramente interne. Infatti “l’origine è dentro la persona. Ogni individuo, tuttavia, è influenzato dalla sua educazione, dai modelli culturali e dalla società in cui vive” (cfr. Robinson,1998), sulla base del modello ecologico di Bronfenbrenner, Robinson spiega come certi fattori influiscano a più livelli nella vita delle persone (famiglia-scuola, lavoro-famiglia, stereotipi sociali) e nel particolare si sofferma, per spiegare la base dello sviluppo di questo disturbo, sul sistema famigliare.

Nella famiglia di origine il workaholic vive, cresce, e apprende pattern famigliari disfunzionali che sono conseguenza o di dipendenze di uno dei due genitori (droga, alcol) oppure del sistema famigliare stesso, che Robinson suddivide in questo caso in due tipologie: la “famiglia perfetta” nella quale vige una iper-organizzazione, relazioni basate su confini molto rigidi e in cui non si possono esprimere liberamente le emozioni e i sentimenti, in cui è meglio fingere per dire la cosa “giusta” piuttosto che aprirsi liberamente, in cui si è apprezzati per quello che si fa e non per quello che si è, in cui manca l’accettazione incondizionata; l’altra è la “famiglia imperfetta” ovvero la famiglia senza regole, senza confini dalla quale genera senso di instabilità e insicurezza. In entrambe i tipi di famiglia c’è scarsa capacità comunicativa, conflittualità e mancanza di accudimento.

In entrambi i casi non c’è spazio per poter esprimere liberamente le emozioni positive e negative e le insicurezze, e il bambino, non potendo sviluppare un attaccamento sicuro e sperimentando confusione e insicurezza emotiva, cercherà un ancora a cui aggrapparsi per sopravvivere all’ansia e al senso di inadeguatezza che emergeranno. L’ansia nasce come conseguenza dell’idea di una perfezione necessaria da raggiungere per essere accettati, considerati e amati e Il lavoro (o nel caso già dell’infanzia la scuola, lo studio o uno sport praticato) diventa il modo per dimostrare il proprio valore, per avere un’identità precisa, un modo per essere e molto spesso una vera e propria fuga dalla realtà.

Il valore della persona viene quindi spesso collegato alla sua performance, al suo “saper fare” più che al “saper essere”.

Perfezionismo, narcisismo e ossessione sono alla base del workaholism. La persona dipendente dal lavoro sviluppa dunque la necessità di tenere tutto e tutti sotto controllo, la tendenza ad essere aggressivo o aggressivo-passivo con i famigliari e con i colleghi, a non avere più confini netti tra lavoro e tempo libero, famiglia, vita personale.

Il workaholic quando non lavora si sente annoiato ed è incapace di rilassarsi.

Ecco che dietro a persone che sembrano invincibili si nasconde un sé fragile, vittima di un senso di inadeguatezza che lo spinge compulsivamente a lavorare per eccellere, per arrivare sempre più in alto.

Nel corso degli anni sono stati individuati, dall’esperienza clinica, alcune tipologie di workaholic (il lavoratore compulsivo, il lavoratore frenetico, il lavoratore nascosto e altri) ma alla base ci sono delle caratteristiche cognitive comuni come il pensiero rigidamente dualistico (si muovono sul “tutto o niente”, il bianco o il nero) che li porta a vivere in modo molto rigido non concedendosi momenti di riposo e nel caso in cui se li concedono tendono a riempire anche la giornata “libera” con attività altamente performanti o addirittura lavorando di nascosto. Il riconoscimento di sé e degli altri, e dunque la propria autostima, dipendono unicamente dal lavoro.

La dipendenza da lavoro oggi è una delle più attuali e più pericolose forme di dipendenza conosciute. Inevitabili sono le ripercussioni sulla sfera affettiva e dunque sul sistema famigliare e sulla coppia. Il rischio di divorzio è altissimo nelle coppie in cui uno dei due coniugi sviluppa la sindrome. Ricerche svolte dall’American Academy of matrimonial lawyers indica come il workaholism sia una delle casue più frequenti dei divorzi , causa che molto spesso è nascosta sotto ad altre cause più visibili quali abuso di alcol o relazioni extraconiugali.

Necessario sarà allora aiutare a ristabilire i confini tra individuo e lavoro.

Vista la difficoltà di riconoscimento e di diagnosi, oltre agli interventi a livello clinico al quale si arriva spesso sull’onda di altri disturbi molto più eclatanti, è fondamentale muoversi al livello della salutogenesi e della prevenzione, soprattutto nei contesti lavorativi stessi rendendo gli individui consapevoli dell’esistenza del workaholism e favorendo una cultura del lavoro moderata ed equilibrata la quale agevoli il riconoscimento e il rispetto dei giusti confini tra vita privata e lavoro. Quando l’identità è ben definita infatti, l’individuo è in grado di valutare adeguatamente le proprie capacità, di capire quali sono i suoi reali punti di forza e le risorse da poter impiegare in modo sano e produttivo nel lavoro stesso.

Simona Giulivi

Bibliografia 

G.Lavanco, A. Milio, (2006) Psicologia della dipendenza dal lavoro. Work addiction e workaholics, Casa Editrice Astrolabio, Ubaldini Editore, Roma

K. De Luca, E. Spalletta, (2011) Praticare il tempo, Sovera

Sitografia

A.Furry, (2014) Study examines psychology of workaholism http://medicalexpress.com/news/2014-10-psychology-workaholism.htlm

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