Creativi si nasce o si diventa? Perché coltivare il pensiero creativo

 

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Il termine creatività deriva dal termine latino creare, la cui radice kar si riferisce al sanscrito kar-tr, il creatore. La creatività indica la capacità di creare, inventare qualcosa e spesso viene identificata con l’estro artistico. Tuttavia l’arte, indiscutibilmente la più alta forma di espressione creativa, ne è la realizzazione, il prodotto finale. Se ci soffermiamo al passo precedente, alla forma pura della creatività, possiamo considerarla in senso lato e scoprirla come una vera e propria capacità cognitiva, piuttosto che come un dono per pochi eletti.

Agli inizi del ‘900, i primi studi cognitivi non contemplavano la competenza creativa. Essi si focalizzavano solo sull’intelligenza umana considerandola una dote immutabile, statica e corrispondente alla razionalità logica; successivamente emersero concezioni più evolute della stessa, scoprendone varie forme e tipologie che vanno a riflettere la reale variabilità interumana.

Guilford nel 1967 individuò addirittura 120 fattori di intelligenza, cioè capacità mentali diverse, tutte indipendenti tra loro. Così quando lo psicologo americano introdusse il concetto di pensiero divergente, la creatività comparve in letteratura come la capacità di affrontare problemi che non sono ben definiti e strutturati, trovando soluzioni al di fuori degli schemi già noti e usuali.

Tale pensiero ha le seguenti caratteristiche:

  •  Originalità: abilità ad esprimere idee innovative e insolite.
  •  Fluidità: pensare di più, cioè produrre una grande quantità di risposte rilevanti data da un flusso veloce del pensiero.
  •  Flessibilità: pensare in modo vario, aggirare gli ostacoli cambiando direzione se necessario.
  •  Capacità di elaborazione: abbellire un’idea, renderla più complessa espandendo il ragionamento.

Pensiero contrapposto è quello convergente, che invece tende a riproporre schemi soliti, a trovare la soluzione all’interno e nei limiti della situazione stessa procedendo per logica e razionalità. Ovviamente questo procedimento è pertinente in situazioni note, quando ci troviamo di fronte a un problema che richiede delle scelte automatiche o l’applicazione di conoscenze apprese in precedenza.

Ma in situazioni particolari in cui soluzioni già attuate si rivelano inefficaci o quando abbiamo bisogno di valutare la molteplicità di punti di vista e allargare la nostra veduta, è indispensabile un pensiero maggiormente flessibile. Lo stesso di cui parla De Bono, chiamandolo “pensiero laterale”: esso non segue un percorso lineare, è meno analitico e rigoroso, piuttosto tende adessere intuitivo, ad esaminare elementi nuovi per trovare connessioni in situazioni apparentemente scollegate.

Il valore del pensare creativamente è evidente se pensiamo alle grandi scoperte dei luminari, ai progressi umani raggiunti, resi possibili grazie a un ribaltamento degli schemi mentali. In realtà, però, tutti noi possiamo cogliere e sperimentare l’efficacia di tale procedimento mentale che ci porta a soluzioni geniali anche in situazioni quotidiane. In alcune problematiche, che al primo impatto possono sembrare intricate, può ad un certo punto accendersi la lampadina, un’illuminazione che porta a vedere improvvisamente la soluzione: è il cosiddetto insight. Ciò è possibile abbandonando la meccanicità, cioè la tendenza ad operare sempre le stesse strategie e la fissità funzionale, intesa come incapacità di cogliere possibilità di impiego inusuale di oggetti e concetti.

I diversi procedimenti mentali (pensiero logico e pensiero creativo) sarebbero imputati alle funzionalità diverse dei due emisferi, di cui è costituito il cervello umano. Nell’emisfero sinistro risiedono le funzioni della logica, della razionalità e del metodo analitico. L’emisfero destro, invece, è la sede delle emozioni, dell’intuizione e appunto della creatività.

Vi è nella nostra società e cultura la predisposizione ad esaltare maggiormente le competenze di quello sinistro, ovvero si tende a privilegiare la razionalità a discapito di quelle emotive e creative. A confermarlo ci sono gli studi sperimentali di un’insegnante d’arte, (cfr. Betty Edwards, 1979) la quale scoprì che i bambini verso i dieci anni hanno una crisi artistica, tendono cioè ad inibire la loro libera espressione creativa; prima di questa età i due emisferi non sono specializzati in funzioni differenziate, ma in seguito con la fanciullezza l’emisfero sinistro afferma il suo predominio, così nomi e simboli si impongono a discapito della percezione intuitiva e globale.

A questo punto se asseriamo che la parte creativa sia una potenzialità e affermiamo che può essere incoraggiata, ci chiediamo: nasciamo creativi o possiamo diventarlo?

Gli studi genetici (Reuter-Roth-Holve-Henning, 2006) suggeriscono che i geni spiegano solo il 10% del potenziale creativo, diversamente dalla personalità o dall’intelligenza, in cui la componente biologica e genetica sono più importanti. Ci sono poi dei tratti di personalità che correlano positivamente come: l’apertura verso il nuovo, un atteggiamento mentale aperto, la curiosità, la reattività al cambiamento, il rifiuto dell’autoritarismo e del pregiudizio. Inoltre è dimostrato che con l’avanzare dell’età si tende ad essere meno creativi e più conservatori.

In fondo la creatività è una caratteristica multicomponenziale: si tratta di ideazione, originalità ma anche di competenze, e allenare determinate abilità in un campo specifico incrementerà anche la possibilità di essere più creativi in quello stesso ambito. La nostra predisposizione è sia attitudinale che situazionale e quindi può essere influenzata da interventi esterni.

Il potenziale creativo è innato e può venir plasmato da pratiche educative e da una cultura che ne favorisca la libera espressione.

Il mondo tecnologico, ad esempio, che è ormai cosi imponente nell’ odierna società è diventato un forte supporto alle nostre facoltà mentali, ed in quanto tale può trasformarsi come uno stimolo all’inventiva o al contrario come un annullamento del pensiero creativo; la differenza consiste nella modalità d’uso. Un utilizzo che sfrutti le enormi possibilità della tecnologia, come la struttura reticolare ed ipertestuale simili alle rappresentazioni mentali della conoscenza, può favorire un’organizzazione del pensiero più complessa; la realtà virtuale può creare ambienti nuovi da sperimentare; la ricchezza di contenuti attiverebbe nuovi percorsi di ricerca. Tutto ciò sarebbe lontano da un uso passivo e meccanico delle tecnologie in cui esse si sostituiscono al pensiero del singolo.

I bambini a volte vengono bombardati da giochi e attività troppo strutturati per attivarne libertà e fantasia. L’ambiente educativo invece dovrebbe essere stimolante e non giudicante, dove non esistono solo risposte giuste e sbagliate ma aperto ad accogliere qualunque idea; dovrebbe inoltre predisporre attività meno impostate, ad esempio il gioco di ruolo in cui i bambini si sentono incoraggiati ad essere loro stessi.

Lo stesso vale negli ambienti di lavoro, prediligere l’omologazione e il conformismo dai propri dipendenti darebbe sempre gli stessi risultati e annichilirebbe la personalità dei singoli individui; un ambiente non rigido, invece, può incrementare la creatività degli adulti e mobilitare tutte le risorse favorendo in tal modo il problem making e il problem solving, che consentono un’analisi delle situazioni da molteplici punti di vista per arrivare a nuove soluzioni adatte al contesto.

Dunque in ogni campo e fase evolutiva si può essere creativi, anzi possiamo definirla una necessità umana per poter esprimere tutte le potenzialità e la propria unicità; l’energia psichica circola liberamente e si prende contato con la parte più vera del sé, incontaminata, lontana dai condizionamenti esterni.

Dobbiamo realizzare che è un’abilità presente in noi e in quanto esigenza naturale, anche la parte fantasiosa esige di essere coltivata. Se ci avvaliamo dei procedimenti mentali di entrambi gli emisferi, stimoliamo tutto il nostro potenziale, impariamo a guardare con entrambi gli occhi, estendendo il campo visivo. In tal modo si potrà sfruttare la plasticità naturale del nostro cervello anche per far fronte, in modo maggiormente flessibile, alla complessità degli eventi della vita.

Ornella Maggio

Bibliografia

Guilford, J. P., (1977), La creatività. Torino: Loescher.

Di Berardino, C., (2005), L’approccio multimodale nella riabilitazione psichiatrica. Milano: McGraw Hill.

Edwards B., (1979), The new drawing on the right side of the brain. Penguin Putnam.

Scott, G., Leritz, L. e Mumford, M., (2004) The effectiveness of creativity training: a quantitative review. Creativity Research Journal vol. 16 n. 4.

Reuter, Roth, Holve e Henning (2006) Identification of first candidate genes for creativity: a pilot.

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