Perché fare volontariato in tempo di crisi? La forza dell’altruismo

 

Si sopravvive di ciò che si riceve ma si vive di ciò che si dona” – Jung.

Nell’attuale periodo storico le attività di volontariato coinvolgono circa 140 milioni di persone in tutto il mondo, secondo il rapporto dei volontari delle nazioni unite. I volontari, ogni giorno, donano il proprio tempo e le proprie risorse a tutela di persone, animali, natura e patrimonio artistico motivati da una spinta interiore libera e non vincolata, mettendo in luce l’innata indole generosa dell’essere umano.

Dopo questi dati potrebbe nascere spontanea una domanda: perchè in un periodo di crisi economica, in cui il denaro fa da padrone, molte persone sono coinvolte fisicamente ed emotivamente nel volontariato, se questo non produce ricavo economico? Le spiegazioni a tale quesito sono tutt’altro che banali.

Tutti abbiamo provato quella profonda sensazione di pace e benessere che nasce dall’aver aiutato un amico in difficoltà, soccorso un animale spaventato, compiuto un’azione che ha prodotto del bene per il prossimo o per il mondo. Eppure l’immagine stereotipata che si ha  dell’uomo è tutt’altro che simile a quella di un filantropo, anzi. L’essere umano è notoriamente il più egoista e meschino. D’altro canto, quest’etichetta ce la siamo guadagnata attraverso la storia, costellata di personaggi che appaiono egoisti e feroci, qualità attribuite anche all’uomo dei tempi moderni. Ad avallare l’ipotesi che dipinge l’egoismo umano come innato e naturale non sono solo credenze popolari, bensì molteplici ricerche sperimentali e teorie come quella filosofica di Hobbes, la teoria del gene egoista di Dawkins e di recente uno studio scientifico di alcuni ricercatori ungheresi che hanno illustrato i meccanismi machiavellici attivati dal nostro cervello in modo da ottenere più benefici possibili per se stessi (cfr. Bereczkei et al, 2015).

Riguardo quest’ultima, i ricercatori dell’università di Péc, hanno radunato alcuni studenti con diversi gradi di atteggiamento egoistico, chiedendogli di costituire un rapporto economico con una persona X (che in realtà era un computer). Ai partecipanti veniva fornita una modesta quantità di denaro che essi dovevano dare a X, sapendo che tale quantità veniva triplicata al momento della consegna e che X poteva scegliere liberamente quanto denaro restituire come ricompensa. In un secondo momento, gli studenti hanno ricevuto da X il denaro e gli è stato chiesto di decidere quanto restituire. I risultati hanno mostrato che, di fronte ad un comportamento disonesto di X, tutti gli studenti ricambiavano con lo stesso atteggiamento, mentre nel caso di un comportamento onesto di X, le persone considerate machiavelliche o egoiste  tendevano a non restituire nessuna somma di denaro oppure in ridotte quantità. Indagando sull’attività neuronale, infine, i ricercatori hanno rilevato un aumento dell’attività nelle zone cerebrali adibite al controllo della creatività e dell’inibizione (cfr. Bereczkei et al, 2015).

Ma allora quali sono le vere motivazioni al volontariato? Perché aiutare gli altri se non se ne ricava apparentemente nulla?

Semplice, è il bello di essere altruisti. L’altruismo, tecnicamente parlando, non è altro che un insieme di comportamenti e atteggiamenti volti al benessere altrui, un comportamento prosociale determinante che si basa su meccanismi cerebrali e sociali che stanno alla base di tutte le attività di volontariato. Le più recenti teorie psicologiche (cfr. Batson, 2011) fanno risalire le cause dell’altruismo all’empatia, ovvero la capacità individuale di mettersi nei panni di un’altra persona.

Partendo da questi presupposti, Tania Singer, neuroscienziata del London College ha condotto un esperimento che ha rivelato i meccanismi cerebrali che permettono di percepire la sofferenza altrui. Singer e colleghi hanno selezionato un piccolo gruppo di donne e le hanno sottoposte a fMRI (risonanza magnetica funzionale) mentre somministravano loro una leggera scossa al dorso della mano. In una fase successiva, alle  collaboratrici veniva fatto notare che anche il loro partner, che si trovava nella stessa stanza, stava provando dolore in modo analogo a quello che le donne avevano percepito in precedenza. I risultati hanno mostrato che nelle partecipanti, le aree  responsabili della percezione del dolore, come il cingolo e l’insula anteriore, venivano attivate  anche quando il dolore era rappresentato solamente dalla sofferenza mentale per il compagno (cfr. Singer et al; 2005).

L’empatia e l’altruismo, dunque, non sono sconosciuti alla mente umana, anzi si identificano come processi biologici ed emozionali, poiché come sostenuto dalla pedagogista Luigina Mortari  «L’uomo ha bisogno di prendersi cura per costruire significato nella sua esistenza: Egli costruisce un orizzonte di significato prendendosi cura del campo vitale in cui viene a trovarsi». Tutto ciò dimostra che l’altruismo e l’amore per l’altro esistono per davvero, anche se  tutti i processi prosociali devono essere attivati di propria volontà, bisogna veramente voler aiutare gli altri per riuscirci.

A tal proposito un team di ricercatori dell’università di Catania si sono chiesti perché il numero di persone impegnate in attività d’aiuto non retribuite sia in costante aumento e quali siano le motivazioni che ci inducono a diventare volontari (cfr. Licciardello et al; 2013). Indagando sulla letteratura scientifica precedente e svolgendo una ricerca sperimentale su di un gruppo di volontari della croce rossa italiana, i ricercatori hanno individuato nella Volunteer Functions inventory (VFI), una scala di misurazione multi motivazionale  composta 6 funzioni (item) necessarie affinché ci si possa dedicare al volontariato (cfr. Omoto e Snyder,1993).

  • Valori: il soggetto è motivato da una morale  comune che lo induce a contribuire al benessere della comunità e dell’ambiente in cui vive. Quando si decide di donare del cibo o di preservare la vita degli animali, infatti, si risponde a dei valori comuni, spinti da una motivazione sociale che è più forte di molte convinzioni individuali.
  • Apprendimento: si è  motivati ad aiutare e ad insegnare agli altri perché ogni situazione permette di imparare qualcosa di nuovo, di esprimere le proprie abilità e capacità. Fare volontariato è recepito, dunque, come un’esperienza che dà una doppia ricompensa, a se stessi e agli altri.
  • Carriera: entrare a far parte di un’organizzazione come volontario può essere un’opportunità di carriera o di esperienza soprattutto per i giovani.
  • Influenza sociale: a volte la motivazione è scaturita da una forte pressione esterna oppure dalla semplice omologazione sociale. Quante volte, soprattutto da ragazzi, si fanno delle attività solo perché le fanno i propri amici? Questa tendenza influenzante della società è un’arma a doppio taglio, ma nei casi del volontariato anche l’influenza sociale e l’omologazione diventano positive.
  • Protezione: essere impegnati in attività di solidarietà riduce il senso di colpa per essere più fortunati degli altri e permette di non pensare ai problemi personali attraverso la funzione ego-difensiva che la  mente attua per preservarci dalle troppe sensazioni negative (Katz,1960).
  • Stima: fare volontariato aumenta l’ autostima. Se non stimiamo noi stessi e non siamo convinti delle nostre capacità non possiamo essere d’aiuto nemmeno per gli altri.

I risultati hanno mostrato che tutte queste motivazioni sono necessarie per  intraprendere nel modo migliore attività solidali altruistiche, sebbene la componente motivazionale legata ai valori risulti la più influente tra i partecipanti all’esperimento, seguita dall’autostima e dall’apprendimento. Questi risultati identificano il volontariato come un fenomeno multidimensionale, fondato sia su processi altruistici che egoistici.

In conclusione, rispondendo alla domanda iniziale, l’uomo si dona all’altro poiché vive nella civiltà e nell’era dell’empatia, in cui solo il profitto non è più necessario per considerarsi soddisfatti della propria vita, rendendo così necessaria l’evoluzione da Homo economicus a Homo empaticus. Fare volontariato, allora, fa guadagnare felicità e benessere più di ogni lavoro, motivo per il quale, per non dimenticarlo, si dovrebbe ascoltare qualche volta in più quella strofa di De André: “la felicità non nasce dalla ricchezza né dal potere, ma dal piacere di donare”.

Andrea Lombardi

 

Bibliografia

Omoto, A. e Snyder, S. (2002). Considerations of community: The context and process of volunteerism. The American Behavioral Scientist, 45

Winerman,L. (2006). Helping others, Helping ourselves. Monitor on Psychology APA, Vol 37, No. 11

Singer, T. e Frith, C. (2005) The painful side of empathy. Nature Neuroscience 8

Licciardello O, De Marco,G. e Mauceri, M. (2013). Motivations and Perceived Organizational Climate Among Volunteers of Italian Red Cross. Procedia – Social and Behavioral Sciences.Volume 84, 9

Mortari L. (2013). La qualità etica della cura. Scuola e Formazione, n.3.

Bereczkei, T. Papp, P. Kincses, P. Bodrogi,G. Perlaki, G. Orsi, G. Deak,A. (2015). The neural basis of the machiavellians’ decision making in fair and unfair situations. Brain and Cognition 98

Sitografia

www.unv.org

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