La Pedagogia nei contesti di guerra: resistere per cambiare

 

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Hanno fatto il giro dei social le immagini di Aleppo, città della Siria, dove la guerra contro il regime del presidente Bashar al-Assad, iniziata nel 2011, ha causato circa 300.000 vittime. Bambini ricoperti di macerie, adulti disperati, anziani abbandonati  hanno definito, nell’immaginario collettivo, il quadro esistenziale di una popolazione sottoposta ad una condizione traumatica.

L’umanità intera si è fermata a guardare l’orrore sui volti dei sopravvissuti e la loro capacità di risollevarsi, di adattarsi alla disperazione attraverso quelle capacità interiori necessarie per riprendere in mano la propria vita e che, in Pedagogia, confluiscono nel concetto di “resilienza”. Proprio la scienza pedagogica, infatti, nei contesti di guerra e nelle condizioni di dramma esistenziale ha sempre fornito il suo contributo determinante nella sua dimensione di praticata educativa.

Ma in che modo è possibile parlare di Pedagogia nella guerra?

E attraverso quali metodologie l’intervento educativo può risolvere condizioni traumatiche? Sembra un’innovazione all’avanguardia ma, in realtà, la risposta a queste situazioni è soprattutto educativa. L’approccio educativo è determinante nel superare gli effetti provocati  dalle situazioni  di emergenza sociale per il semplice fatto che le conseguenze di un trauma si avvertono e si ripercuotono nella totalità delle dimensioni del soggetto, coinvolgendo al contempo la dimensione cognitiva, emotiva e sociale.

Per comprendere a fondo come possa realizzarsi nel concreto l’azione pedagogica, possiamo analizzare e confrontare due interventi educativi-didattici. Il primo è stato realizzato in Francia. Precisamente, nei pressi di S. Suplice, un’allieva di Maria Montessori aveva condotto il primo intervento pedagogico-educativo in una  situazione di emergenza sociale: la Prima Guerra Mondiale. Mary Cromwell aveva aperto una Casa Montessori che accoglieva bambini belgi e francesi, sfuggiti alla guerra e sopravvissuti alla morte. Dalle pochissime fonti storiche ritrovate, infatti, si evince che il primo intervento attuato nell’immediatezza dell’emergenza causata dalla guerra, riguarda la dimensione emotiva-affettiva e cognitiva. La Cromwell riferisce che i bambini arrivavano  e, lentamente, affrontavano la paura, il terrore attraverso l’intervento pedagogico: la presenza quotidiana delle figure di riferimento, le attività pratiche e didattiche permettevano il superamento della paralisi emotiva-cognitiva causata dal trauma per ristabilire un equilibrio vitale.

Il secondo intervento rientra nella Pedagogia contemporanea. A distanza di oltre un secolo dalla Prima Guerra Mondiale anche il pedagogista Andrea Canevaro ha realizzato un progetto di cooperazione internazionale in contesti di guerra. Nel difficile passaggio dal regime comunista della Jugoslavia alla nascita della Bosnia-Erzegovina, l’azione pedagogica, partendo dall’emergenza immediata e – dopo aver realizzato percorsi educativi di resistenza e di adattamento al nuovo ordine imposto dagli eventi –  ha definito un modello formativo finalizzato all’inclusione dei bambini con difficoltà di apprendimento. Gli interventi educativi sono stati rivolti sia all’organizzazione burocratica del sistema scolastico, ancorato – sino ad allora – ad un’impostazione rigida e dogmatica,  sia alla programmazione didattica basata su ritmi molti intensi e competitivi. Anche in questo contesto la Pedagogia, attraverso l’osservazione partecipante, la sperimentazione scientifica, la ricerca e la progettazione metodologica ha definito una risposta pedagogica all’emergenza sociale e culturale rivolta ai minori con bisogni educativi speciali, determinando processi di inclusione e di innovazione didattica.

Per dare concretezza a questo tipo di riflessione nei contesti di emergenza sociale possiamo provare a gettare le basi per un intervento educativo-didattico. Un esempio pratico si può realizzare considerando gli effetti che il trauma determina sulla dimensione cognitiva. A livello neurobiologico infatti, si assiste alla riduzione della concentrazione, limitazione della capacità di problem solving, diminuzione delle capacità di memoria soprattutto per quanto riguarda la dimensione spazio-temporale. Molteplici le ricadute educative su cui poter progettare un intervento di potenziamento cognitivo attraverso tecniche e strumenti che emergono dalla recente letteratura pedagogica.

In generale, la Pedagogia ha sempre fornito una risposta educativo-didattica nei fenomeni di profondo cambiamento economico, sociale, ambientale e culturale. Ancora oggi, il suo intervento è essenziale di fronte alle nuove emergenze sociali e nuove sfide educative che nascono dai profondi cambiamenti dovuti alle situazioni di guerra, alle catastrofi naturali, all’invecchiamento della popolazione, ai fenomeni di migrazione. Nasce di conseguenza una vera e propria Pedagogia dell’Emergenza che “abita il territorio”; un modello di intervento operativo che realizza una progettualità educativa sostenibile, orientata al progresso umano e sociale.

Angela Pellino

Info

 

 

 

Bibliografia

Bernacchi S, Bonaiuti G., Capperucci D., (2005), Progettazione Tutorship Knowledge Management, Modelli operativi e profili professionali nella formazione continua, Pensa multimedia, Lecce

Demetrio D., (1990), Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici, La Nuova Italia Editrice, Firenze

Dentici O., A. Amoretti G., Cavallini E., (2004), La memoria degli anziani: una guida per mantenerla in efficienza. Erikson, Trento

Sitografia

Il Metodo Montessori in Francia durante la guerra, Mary R. Cromwell, http://www.montessori.uniroma3.it/tecaweb/vedi_risultati.php?t1=NAAUAF00000949

earthcharter.org.> Guida_per_insegnanti

Il processo inclusivo e la cooperazione internazionale: riflessioni su un’esperienza in Bosnia Erzegovina, Luca Baldassarre, www.accaparlante.it/node/29519

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