“Sapete benissimo che se piantate un bulbo in un vaso sul davanzale, non avete bisogno di costringerlo a diventare un narciso” (D.W.Winnicott)
Quali potrebbero essere le conseguenze per un bambino che, crescendo, diventa un adulto narcisista? Al di là delle tendenze assolutistiche attraverso le quali un narcisista tende ad avere sempre ragione, dispone delle situazioni a piacimento senza preoccuparsi delle conseguenze, dal punto di vista pedagogico, andiamo incontro ad una situazione abbastanza complessa: l’eccessiva considerazione emotiva comporta la perdita delle reali capacità del soggetto che, non emergendo per quelle che sono in realtà, non possono essere potenziate o sviluppate. La sua mente quindi viene limitata nell’apprendimento, impedendo il naturale sviluppo dell’azione, dell’autonomia e della creatività (Crepet, 2008). Di conseguenza si solidificano sentimenti quali l’odio e l’invidia cosparsi da un sottile velo di compiacenza, dietro la quale si cela il senso di impotenza e di vergogna che li renderà infelici, insoddisfatti, logorati nella ricerca perpetua di un successo infondato, rispecchiato di luce non propria.
Nella letteratura delle scienze umane è possibile leggere che il filosofo della Pedagogia J.J. Rousseau, aveva teoricamente già anticipato che l’amore del sé è una sorta di inclinazione istintiva che dovrebbe essere moderata con uno stile educativo appropriato per evitare la nascita del desiderio, quasi ossessivo, di «preferirsi ed essere preferito» dagli altri. Ebbene, questa tipologia di atteggiamento è nota come personalità narcisistica e, consiste, essenzialmente, nel considerarsi il migliore di tutti. Per utilizzare una similitudine, potremmo affermare che si tratta del tipico pavoneggiarsi del regno animale: il soggetto fa credere di essere una persona capace, esibisce le proprie performance e sviluppa una profonda attrazione per la propria immagine, riflessa, ma non reale.
Appena usciamo dalla porta di casa oppure ci connettiamo sui social, siamo invasi letteralmente da questa gente. La collega che cerca ad ogni costo di ingraziarsi la dirigente ad esempio, mostra ai nostri occhi uno spettacolo teatrale: utilizza finti atteggiamenti, servili, senza stima, al fine di ottenere benefici di immagine o favori. L’osservazione pedagogica di un caso di narcisismo come questo, implica l’esigenza di scoprire quali stili educativi abbiano potuto provocare questa condotta che in realtà, corrisponde ad una scarsa considerazione di se stessi. Approfondendo le pagine di D. W. Winnicott, pediatra e psicoanalista britannico, è evidente che, dietro la sua personalità arrampicatrice, si nasconde una storia distorta di educazione. Nel processo di crescita del bambino infatti, viene stabilito un legame emotivo all’interno della famiglia, soprattutto con la mamma, che assume un ruolo determinante poiché anticipa il comportamento sociale in quanto, la personalità di un adulto, si costruisce fin dalla nascita, giorno per giorno, attraverso un legame affettivo reale, basato sulla comprensione e sull’accettazione. A conferma di quanto affermato vi è una ricerca condotta all’Università di Amsterdam, nei Paesi Bassi, dove è stato evidenziato come, un’educazione familiare basata su una continua sopravvalutazione dei figli, possa convertire alcuni tratti di personalità narcisistica in atteggiamenti violenti e aggressivi, causare dipendenza da sostanze e, perfino, trasformarsi in ansia e depressione. Il narcisismo dunque, ha diversi gradi di manifestazione e può assumere sfumature diverse di comportamento a seconda di come viene alimentato durante la crescita.
Proviamo a considerare questi aspetti nell’ambito di una relazione educativa: quale intervento pedagogico potrebbe fare la differenza valoriale e comportamentale di un narcisista? Facciamo alcuni esempi di stili educativi:
- Evitare una scorretta comunicazione emotiva. Per impedire la percezione da parte del bambino di non essere accettati, non bisogna paragonare le attività svolte con l’operato di fratelli o compagni. Per la scuola ad esempio, evitare di confrontare voti e pagelle con gli altri compagni di classe, sottolineandone la bravura. Il paragone si deve svolgere in riferimento all’impegno dimostrato, cercando i motivi dell’insuccesso didattico. Dietro ad un voto scolastico appena sufficiente, si potrebbero nascondere delle cause diverse che, spesso, non corrispondono affatto ad un impegno superficiale da parte del bambino.
- Evitare eccessivi rimproveri. Svalutare in modo sproporzionato i piccoli insuccessi quotidiani potrebbe urtare la sensibilità emotiva del bambino e strutturare nella memoria una condizione mentale di “incapacità ad apprendere”. Perdere un libro, rovesciare un bicchiere oppure sporcare la maglietta appena indossata non rappresenta un’immane tragedia. Una ponderata scelta del lessico è necessaria per non “aggredire verbalmente” il bambino con aggettivi quali incapace, stupido, arruffone, buono a nulla.
- Evitare il rinforzo degli “atteggiamenti tirannici”. Queste tendenze caratteriali non sono certamente doti particolari di forza e coraggio ma la conseguenza di una esagerata attenzione per il risultato raggiunto. Molto spesso si lodano i bambini evidenziando, in modo particolare, qualità possedute in ambito scolastico, sportivo oppure in altre attività ricreative. Ciò potrebbe instillare la convinzione di doversi confrontare ad ogni costo, senza esclusione di colpi, perdendo di mira il vero significato della competizione e affannare il bambino nella ricerca di prestazioni sempre maggiori. A questo proposito è opportuno riconoscere i successi raggiunti, evitando frasi come “sei perfetto”, “sei il più intelligente” e soffermarsi soprattutto sull’impegno, sulla perseveranza e sulla costanza dimostrate nel corso dell’opera.
Non è difficile cadere in “trappole educative” di questo genere. Alcuni genitori più consapevoli cercano di evitarle, interrogandosi su come preparare i loro figli ad affrontare la competizione, a difendersi dalle frustrazioni della vita, a far emergere le loro potenzialità, aprendo la strada al successo. Certamente i genitori possono amare i figli di un amore incondizionato ma, essendo emotivamente coinvolti nelle relazioni, non hanno uno sguardo esterno, pedagogico, necessario per individuare la giusta chiave educativa che potrà aprire le porte della realizzazione personale e sociale.
Nel lavoro pedagogico si interviene principalmente nell’ambito familiare al fine di:
- Modificare determinati valori e stili affettivi condivisi all’interno del gruppo famiglia. Si facilita lo scambio interpersonale, facendo leva sulla comunicazione emotiva per promuovere le emozioni autentiche, che predispongono allo sviluppo dell’intelligenza, del pensiero creativo, innovativo, originale.
- Costruire un’autentica autostima. Un “sano narcisismo” e una corretta considerazione del sè iniziano dalla libertà lasciata al bambino di esprimere se stesso, sostenendolo quando incorre in un errore e rafforzando le sue reali predisposizioni. La libertà in Pedagogia non indica però l’assenza di regole. Sembrerà un controsenso ma, in realtà, proprio l’educazione basata sul rispetto delle regole rappresenta il punto di partenza del processo di costruzione di una sana autostima. A piccoli passi i bambini imparano a edificare il loro carattere muovendosi in un contesto di valori emotivi e limiti di comportamento che avranno imparato a conoscere e a rispettare.
La valutazione effettuata sulle personalità narcisistiche mette in evidenza sul piano pedagogico, una “violenza comportamentale”, affiancata dalla consapevolezza di demolire emotivamente l’altro. Per confermare la banale illusione di superiorità, a causa della quale hanno bisogno continuo di ricevere approvazione e di comandare, i narcisisti sono disposti ad umiliare l’altro. E ciò avviene non solo nella relazione di coppia ma anche nella realtà sociale e lavorativa. Le persone che hanno la “sfortuna” di incontrarli si sentono sopraffatti, usurpati di una parte della loro stessa identità emotiva e cognitiva, in quanto i piani di sfruttamento e di avvicinamento agli altri corrispondono esclusivamente al raggiungimento e alla conservazione dei loro interessi personalistici. Usano e gettano, utilizzando la frase più comune. Nonostante la relazione svantaggiosa che riservano alle loro “vittime” in realtà, il risultato che raggiungono a livello personale è quello che tutti conosciamo, lo stesso raccontato dal poeta latino Ovidio e rappresentato magistralmente nei dipinti più famosi: Narciso dalla bella forma, perdendo il suo tempo ad ammirare un’immagine nelle acque, non si accorge che è solo un banale riflesso inconsistente.
Bibliografia
Bertolini P., (1958), Fenomenologia e Pedagogia, Edizioni Giuseppe Malipiero, Bologna.Cambi F. (a cura di), (1998), Nel conflitto delle emozioni. Prospettive pedagogiche, Armando Editore, Roma.
Crepet P., (2008), La gioia di educare, Giulio Einaudi Editore, Torino.
Gabelli A., (1871), L’uomo e le scienze morali, Le Monnier, Firenze.
Tramma S. (2008), L’educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, Carocci
Faber, Roma.
Winnicott D.W., (1986), Il bambino deprivato: le origini della tendenza antisociale, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Sitografia
http://www.lescienze.it/news/2015/03/11/news/origine_narcisismo_bambini-2521334/