Il mondo in cui viviamo ci proietta in orizzonti poco sicuri e sempre più frammentati. Oltre ciò, anche la scuola sembra insegnarci poco su come vivere. Infatti, “la separazione delle discipline ci rende incapaci di cogliere ciò che è tessuto insieme, cioè secondo il significato originario del termine, il complesso”. Ciò non può che avere come risultato individui sempre meno competenti e meno sicuri rispetto alle sfide che vi si propongono dinnanzi. Apprendere a vivere significa anche apprendere a diventare cittadini, facendo riferimento all’innato radicamento dell’essere umano alla sua nazione.
La nazione è intesa come un’entità territoriale, politica, sociale e religiosa; si dovrebbe contribuire inizialmente alla comprensione della nazione come tale entità e, conseguentemente, istituire una definizione “sana e comune di cittadino”, in modo tale da ottenere delle identità radicate.
Il dialogo tra Enti e Scuola può favorire lo sviluppo di competenze. La competenza non può essere definita solamente come combinazione tra il sapere (conoscenza) e il saper fare (abilità), ma come apprendimento globale e consapevolezza all’interno di un contesto. Questa non ha un unico algoritmo risolutivo e quindi è dovere dell’educatore cercare di far in modo che si possano formare, citando Morin, teste ben “fatte” e non teste ben “piene”, dove per teste ben fatte si intende – oltre all’accumulazione di saperi – possedere un’attitudine generale a porre e a trattare problemi e principi organizzativi che permettono di organizzare i saperi e di dare loro senso . La competenza non può essere espressa da tutti allo stesso modo quindi è compito dell’individuo dimostrare di possederla nelle diverse circostanze, avversità, sfide che si trova ad affrontare ogni giorno. In questo contesto assume un ruolo fondamentale la progettazione da parte della scuola e degli enti deputati alla formazione, capaci di assecondare le inclinazioni degli studenti e di far emergere le competenze stesse. Attraverso la progettazione è possibile sollecitare gli studenti all’impiego delle conoscenze, abilità, disposizioni cognitive ed emotive affinché possano sviluppare compiti significativi e strettamente collegati a contesti reali che richiedono l’attuazione di strategie cognitive e socio-emotive. In questo modo potremmo pensare di superare i tradizionali steccati imposti ai saperi: la netta distinzione tra sapere teorico e sapere pratico, la separazione tra discipline umanistiche e discipline scientifiche, provando a promuovere una formazione globale dell’uomo. Si tratta di permettere a ciascuno di sviluppare al meglio la propria individualità e i legami con gli altri e di affrontare le molteplici incertezze e difficoltà che gli si presenteranno nel corso del suo destino.
Dopo questa panoramica, si può affermare che, chi può essere di supporto alla formazione dei cittadini, sono gli enti. Gli enti, prettamente finalizzati alla crescita dell’individuo sotto svariati punti di vista, grazie ai loro progetti alternativi rispetto alla tradizionale lezione che viene svolta in classe, possono stimolare in particolar modo bambini e ragazzi ad aprirsi alle sfide complesse della vita. Si fa riferimento solo a bambini e ragazzi, perché gli adulti e gli anziani dovrebbero in qualche modo essere i “sapienti” e fungere da linea guida per questi avendo già appreso a vivere.
Poiché “non abbiamo imparato a camminare o ad andare in bicicletta ascoltando delle lezioni. Il nostro apprendimento si svolge in continua interazione tra pensiero e azione. Per questo bisogna cambiare la cultura della scuola” , sottolineando, ancora una volta, l’importanza degli enti esterni che, pur non cambiando la cultura della scuola, la supportano in questo compito assai complesso, che è insegnare a vivere.
Bibliografia
Morin (2000) , La Testa ben fatta, riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina Editore,Milano
Goleman, P. Senge (2016) , A scuola di futuro , manifesto per una nuova educazione, Rizzoli Etas, Milano