Da alcuni anni, nelle scuole italiane, dilaga un vero e proprio fenomeno noto come un’esagerata diffusione delle difficoltà di apprendimento didattico. Rientrano in quest’area alcune macro-categorie indicate con sigle quali BES, DSA, ADHD ecc. in cui è previsto l’intervento di educatori e pedagogisti laddove sono “compromesse” alcune dimensioni dell’identità del soggetto-persona. Molto spesso, queste figure professionali entrano in contatto con tali soggetti attraverso l’assistenza specialistica per gli alunni diversamente abili, svolgendo una vera e propria azione pedagogica sul campo, giornalmente, in sinergia con gli insegnanti.
In genere però, è il pedagogista che svolge la libera professione a farsi carico degli alunni certificati come BES, realizzando un intervento di tipo abilitativo delle potenzialità e delle competenze cognitive, emotive e sociali. Infatti, secondo l’ottica della collaborazione congiunta con la scuola – prevista dal CM n. 8 del 6/ 03/2013 – e come delegato della famiglia, il pedagogista interviene attivamente durante tutte le fasi delle procedure che accompagnano l’iter burocratico: dalla segnalazione degli insegnanti all’attuazione del Piano Didattico Personalizzato.
Proviamo a comprendere come si svolge l’intervento di un pedagogista nel caso di soggetti descritti come intellettivi non ottimali.
Innanzitutto dobbiamo precisare che, secondo un linguaggio medico-scientifico, si fa riferimento a bambini e ragazzi il cui quoziente intellettivo normale corrisponde ad una valutazione che va dai 70 agli 85 punti, senza elementi di specificità, causato da fattori neurobiologici e spesso accompagnato da altri disturbi. Si tratta in realtà di una diagnosi di ritardo mentale, raccolta in poche righe di definizione, che “cataloga” delle difficoltà soprattutto nella comprensione, nella memorizzazione e nell’applicazione pratica delle conoscenze. Ciò comporta per gli alunni un carico di lavoro eccessivo che impedisce loro di svolgere le normali consegne didattiche che necessitano di essere adattate e semplificate in base al bisogno educativo considerato.
La segnalazione da parte della scuola spinge molti genitori a contattare il pedagogista per svolgere un’attività di accompagnamento, di consulenza e di mediazione tra la famiglia, l’alunno in carico, l’ASL e la scuola. Bisogna infatti sottolineare che, l’ufficializzazione del bisogno educativo comporta, sia per la famiglia sia per l’alunno, una novità non sempre accolta con serenità a livello sociale ed emotivo. In alcune realtà socio-culturali svantaggiate o “estremamente avverse” alle complessità esistenziali, l’impatto educativo non è sempre positivo.
Al di là delle difficoltà che si presentano nell’area dell’autonomia, nella dimensione socio-relazionale e nella stessa capacità di saper riflettere sulle proprie azioni e scelte comportamentali, bambini, ragazzi e adolescenti potrebbero generare sentimenti negativi quali l’angoscia, la solitudine, la paura di essere additati, l’isolamento. In questi casi che spesso si tramutano anche in atteggiamenti di bullismo, è necessario adottare una prospettiva bio-educativa dell’apprendimento facendo rientrare la dimensione emotiva del soggetto parte integrante della progettazione dell’intervento educativo poiché essa influisce direttamente sulla motivazione del soggetto ad entrare nella relazione educativa per aprirsi poi all’opportunità del cambiamento e del miglioramento. Il pedagogista nel rispetto della sua deontologia professionale, deve saper creare quello “spazio educativo” in cui si amalgamano diversi livelli di significati che riflettono, a loro volta, differenti componenti valoriali. Deontologia professionale significa in questo senso, saper sviluppare competenze in grado di creare un “equilibrio tra le parti”, attraverso l’ascolto attivo, al fine di ridurre le distanze e superare le diversità. Un saper essere fatto di competenze maturate con la pratica e di conoscenze aggiornate con una ricerca scientifica costante. In questa prima fase, caratterizzata da una modalità di osservazione e valutazione, il pedagogista diviene una figura di riferimento in situazione. Inoltre acquisisce elementi sufficienti per delineare un profilo pedagogico dell’alunno ed iniziare così ad elaborare un programma di intervento funzionale attraverso un processo in cui vengono utilizzate metodologie educative e formative adatte alle stesse caratteristiche identitarie dell’alunno. Seguendo infatti la tendenza attuale della Pedagogia dello Sviluppo, la finalità dell’intervento è quella di abilitare le diverse disfunzioni intellettive attraverso un modello di «di educazione funzionale».
Nonostante la considerazione della sfera emotiva, affettiva e sociale nella realizzazione del progetto educativo, nella diagnosi di “Funzionamento Intellettivo Limite”, il focus dell’intervento è centrato soprattutto sull’individuazione di strategie e strumenti compensativi e dispensativi atti al raggiungimento di determinati obiettivi cognitivi fissati dalla didattica curriculare quali ad esempio l’analisi e la sintesi dei brani di antologia, la verbalizzazione delle informazioni acquisite, l’applicazione di regole e procedimenti nelle espressioni algebriche e nei problemi di geometria. Si potrebbe parlare di un intervento cosiddetto neuro-pedagogico nel momento in cui vengono programmate e realizzate azioni didattiche specifiche finalizzate allo sviluppo delle connessioni neuronali e alla loro modificabilità attraverso l’esercizio continuo. Lo stesso Edouard Claparède, esponente svizzero della Pedagogia sperimentale, sottolineando lo stretto rapporto tra sviluppo genetico e quello ginnastico, affermava che l’esercizio artificiale, che proviene dall’ambiente esterno, era funzionale per sviluppare le capacità mentali. Nell’intervento pratico, quindi, l’apprendimento che si realizza attraverso stimolazioni cognitive può modificare le strutture plastiche della mente elaborando le informazioni e migliorando di conseguenza le prestazioni cognitive attraverso un accrescimento qualitativo e quantitativo delle connessioni sinaptiche che coinvolge diverse attività della mente, non solo l’attenzione, la percezione oppure la memoria e perfino i processi emozionali legati alla motivazione.
Secondo le più moderne teorie degli stati mentali, nelle complesse dinamiche neuronali, piccole stimolazioni ambientali come ad esempio la visualizzazione di un codice simbolico oppure la ripetizione di frasi strutturalmente semplificate, possono determinare ampi cambiamenti potenziando ad esempio la fase della memorizzazione attraverso la focalizzazione dell’attenzione sull’argomento trattato. Quando infatti un pedagogista esperto delle principali leggi neuroscientifiche semplifica le conoscenze attraverso una mappa concettuale fornisce stimoli e input necessari per potenziare anche quelle attività mentali che normalmente non verrebbero stimolate senza una consapevole attività di tutoring. La specificità dell’intervento pedagogico consiste proprio nel definire una strategia educativa che tenga in considerazione le modalità di funzionamento mentale del soggetto, le implicazioni emotive insite nel processo educativo e le modalità di comprensione dei significati, senza utilizzare materiali preconfezionati. In questo modo ogni potenziamento cognitivo si concretizza sul livello del “raggiungibile”, senza “limitazioni” di natura diagnostica. Nel processo di sviluppo e di crescita del soggetto è possibile “spingersi oltre”, sperimentare, provare a realizzare punti di contatto, collegamenti neuronali attraverso i ragionamenti, le spiegazioni, le dimostrazioni pratiche fino al raggiungimento di un livello prossimale, al fine di generare una maggiore consapevolezza del funzionamento intellettivo. Lo stesso pedagogista Comenio diceva che «ogni regola dev’essere esemplificata con moltissimi esempi, che rendono chiaro quanto vario sia l’uso delle regole stesse» (Fattori M., 1974). Nelle insufficienze mentali si verifica proprio una rigidità nell’assimilazione delle nuove conoscenze, dovuta alla difficoltà di integrare, nelle strutture mentali geneticamente strutturate, quelle nuove. Nella valutazione ex-post di interventi educativi con ritardo mentale l’analisi dei risultati ha dimostrato che l’organizzazione logica delle conoscenze secondo i processi sinaptici soggettivi, la stimolazione costante di determinate facoltà della mente e del linguaggio facilita l’inserimento delle nuove informazioni nelle idee preesistenti. L’intervento pedagogico nel medio-lungo termine verifica in questo modo l’ipotesi di modificabilità della mente attraverso la conferma dei risultati raccolti sulla pagella scolastica dell’alunno preso in carico.
Bibliografia
Claparède E., (1956), Pedagogia sperimentale. I metodi, Editrice Universitaria, Firenze
Cornoldi C., (1978), Modelli della memoria: struttura e leggi della memoria umana, Giunti-Barbera, Firenze
Fattori M. (a cura di), (1974), Opere di Comenio, Unione Tipografica Editrice, Torino
Ianes D., Cramerotti S., (a cura di), (2013) L’individuazione dell’alunno con bisogni educativi speciali su base ICF, Indicazioni operative per promuovere l’inclusione scolastica sulla base della DM 27/12/2012 e della CM n. 8 6/3/2013, Edizioni Erickson, Trento
Siegel D.J. (2001), La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, Milano
Trisciuzzi L., (2003), La pedagogia clinica. I processi formativi del diversamente abile, Edizioni Laterza, Bari
Sitografia
Il DSA, disturbo specifico dell’apprendimento, Carmen Caso, http://www.neuroscienze.net/il-dsa-disturbo-specifico-dellapprendimento/
Direttiva ministeriale sui BES – Bisogni Educativi Speciali http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/8d31611f-9d06-47d0-bcb7-3580ea282df1/dir271212.pdf
Una dinamica dialogica per la nascita delle Scienze bioeducative, Elisa Frauenfelder upress.net/index.php/sf/article/viewFile/10787/10174