Gaming disorder: i consigli per prevenire

Solo lo scorso giugno 2018, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha inserito la dipendenza da videogame o “gaming disorder nella bozza dell’undicesima edizione della classificazione internazionale delle malattie (International Classification of Diseases Icd-11) che contiene tutte le patologie riconosciute, le malattie e i problemi ad esse correlate.

Seppur la nuova versione verrà adottata a partire dal 2022, secondo l’OMS tale dipendenza viene a presentarsi in individui che, assuefatti totalmente dai videogiochi online e offline, arrivano a compromettere significativamente la loro vita sotto ogni aspetto sia  sociale, lavorativo od affettivo. Non curandosi di ciò che li circonda, questi soggetti possono restare incollati ai loro schermi anche senza dormire o mangiare per ore o addirittura giorni. Dunque, il gaming disorder rientrerebbe a pieno titolo nella categoria dei “disordini dovuti ad un comportamento dipendente”, la stessa ad esempio di chi scommette in modo patologico.

Chiaramente, tutta l’industria dei videogiochi si è schierata contro questa decisione, attraverso un movimento internazionale promosso dalle principali associazioni tra cui AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani), la cui direttrice Thalita Malagò, ha dichiarato che: «Videogiochi di ogni genere, su qualsiasi dispositivo e piattaforma, vengono usati in modo sicuro e responsabile da più di 2 miliardi di persone a livello mondiale e il loro valore educativo, terapeutico e ricreativo è ben documentato e ampiamente riconosciuto. Ci rammarichiamo, quindi, di dover constatare che la “dipendenza da videogiochi” è ancora presente nell’ultima versione della classificazione ICD-11 dell’OMS, nonostante la significativa opposizione da parte della comunità medica e scientifica. Ci auguriamo che l’OMS decida di riconsiderare il volume crescente di dati a sua disposizione prima di proporre l’inclusione della “dipendenza da videogiochi” nella versione finale della classificazione ICD-11 che dovrà essere approvata il prossimo anno» (Malagò, 2018).

Come riconoscere il “gaming disorder”?

Secondo l’OMS, esistono dei criteri per riconoscere la patologia. In particolare:

  1. Si perde totalmente il controllo sul videogiocare, tanto da non curarsi più del tempo e della frequenza con la quale ci si dedica a tale attività;
  2. La priorità data ai videogiochi va a compromettere la vita quotidiana e gli interessi del soggetto coinvolto;
  3. La presenza di questo tipo di comportamenti dura per circa 12 mesi dalla loro comparsa.

Vladimir Poznyak, del dipartimento per la salute mentale e l’abuso di sostanze dell’OMS, specifica che comunque “la maggior parte delle persone che gioca i videogame non ha questo problema, come la maggior parte di chi consuma alcol non lo fa in modo patologico. Infatti solo una piccola percentuale di videogiocatori ne viene colpito” (Poznyak, 2018).  

Il caso Fortnite

Sviluppato nel 2017 da Epic Games e People Can Fly, è un videogioco ambientato in una terra post-apocalittica, da ricostruire secondo precisi obiettivi per proteggere gli ultimi sopravvissuti e, grazie alla modalità cooperativa, è possibile giocare in gruppo per ricostruire questo mondo ormai abitato da pericolose creature. Il gioco è caratterizzato da microtransazioni per acquistare valuta di gioco (V-bucks), che può essere utilizzata per ottenere aggiornamenti.

Dopo il successo iniziale, Fortnite ha fatto discutere di sé, in seguito alla notizia di una di una bambina britannica di 9 anni finita dallo psicoterapeuta a causa della sua dipendenza. La piccola si svegliava in segreto la notte e giocava anche fino a 10 ore di fila, dimenticava di andare in bagno ed era perfino arrivata a colpire il padre quando questo aveva tentato di toglierle la Xbox One. Fortnite infatti prevede brevi sessioni di gioco di 20-25 minuti, per cui il meccanismo azione-ricompensa si attiva piuttosto velocemente creando il temuto fenomeno di dipendenza dalla dopamina, che il corpo umano rilascia in seguito al raggiungimento di un obiettivo.

Cosa fare a riguardo?

Partendo dal presupposto che possono verificarsi ovunque casi come quelli descritti sopra, bisogna essere molto cauti nel comprendere ed agire preventivamente nei confronti di un tale fenomeno. Se la situazione però sfugge di mano, è importante agire. Come?

  1. Innanzitutto osservare come il proprio figlio reagisce agli stimoli che il videogioco offre. Ha disturbi del sonno? Inverte il ciclo giorno/notte? Non ha appetito? E’ più aggressivo o nervoso? Ha un calo dei risultati scolastici? E’ presente una diminuzione di attività sportive o ricreative? Quando si manifestano questi sintomi, il videogame rappresenta un rifugio per fuggire da altre turbolenze, da una realtà dolorosa o da una sofferenza fisica o psichica. Insomma, anche se non si è esperti nel settore, osservare e monitorare la situazione può aiutarci a prevenire comportamenti deleteri per la vita quotidiana (Dodin, 2014);
  2. Può avere senso interessarsi dei videogiochi, diventare partecipi di un qualcosa che magari non si comprende fino in fondo, giocando con i propri figli con il fine di promuovere il dialogo ed il gioco narrativo, a spese di quello senso-motorio;  
  3. Se esiste una dipendenza già riconosciuta, è importante rivolgersi ad un esperto, ad un pedagogista, che possa fornire alla famiglia preziosi consigli e mettere in atto un programma per ridurre l’uso dei videogiochi, ricorrendo per esempio a dei timer e avvisi che blocchino le partite dopo un certo numero di ore e promuovendo attività di passatempo alternative da fare insieme, senza che nulla sia lasciato al caso.

Nonostante tutto, non bisogna dimenticare che il videogioco altro non è che uno strumento, un “tool” e come tale va utilizzato, anche con i più piccoli. La parola d’ordine è “regole”, non quando la situazione diventa irrecuperabile, ma da subito, quotidianamente, anche con i videogiochi meno appetibili o più semplici, in modo tale da creare delle routines corrette, facilmente replicabili e nelle quali sia i genitori che i figli possano sentirsi al sicuro.

Glenda Platania

Info

 

 

 

 

Bibliografia

Ciofi R.,  Graziano D. (2003), Giochi pericolosi? Perché i giovani passano ore tra videogiochi online e comunità virtuali, Milano, FrancoAngeli;

Dodin V. (2014), Guarire i giovani dalle dipendenze, 100 domande e risposte, Milano, Edizioni LSWR;

Felini D. (2012), Videogame Education. Studi e percorsi di formazione, Milano Edizioni Unicopl;

Meneghelli A. (2013), Come i videogiochi distorcono il tempo, Padova, Libreria Universitaria;

Pecchinenda G. (2010), Videogiochi e cultura della simulazione. La nascita dell’”homo game”, Roma-Bari, Editori Laterza.

Sitografia

AESVI (2018), Comunicato Stampa “Eminenti ricercatori e scienziati si oppongono alla proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di includere la “dipendenza da videogiochi” nella lista delle malattie mentali”, http://www.aesvi.it/cms/view.php?dir_pk=902&cms_pk=2887;

Poznyak V. (2018), Pubblic health implications of gambling, gaming and psychoactive substance use,   https://www.internationalgamblingconference.com/sessions/tit;

Repubblica.it (2018), Fortnite come una droga? L’esperto: “Bisogna saper riconoscere il vero disagio”, https://www.repubblica.it/tecnologia/prodotti/2018/10/03/news/fortnite_come_una_droga_l_esperto_bisogna_saper_riconoscere_il_vero_disagio_-208053337/;

World Health Organization (2018), Gaming Disorderhttps://www.who.int/features/qa/gaming-disorder/en/

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