Il sistema universitario italiano ha vissuto, sin dagli anni Ottanta, diverse modifiche riguardanti soprattutto la sua struttura organizzativa. Ma quanto è cambiato il nostro sistema universitario? E soprattutto, quanto è pronto alle nuove sfide lanciate dall’Europa?
L’università italiana è stata spesso al centro del dibattito tra i media, sia per le varie modifiche che l’hanno riguardata, sia per la sua diversità rispetto ai modelli universitari europei. A cambiare il nostro sistema universitario e molti dei sistemi europei è stato soprattutto il nuovo approccio europeo all’istruzione superiore. Una delle prime iniziative intraprese in Europa è stata la Magna Charta Universitatum del 1986, seguita nel 1999 dalla Dichiarazione di Bologna, firmata da 29 stati, con la quale si è accettato di procedere all’armonizzazione dei sistemi educativi (Garben, 2008) avviando la creazione di uno Spazio europeo per l’istruzione superiore da realizzare entro il 2010.
L’obiettivo principale è raggiungere un sistema di didattica superiore in sintonia con le nuove esigenze del mercato del lavoro. I principali obiettivi del processo di Bologna, riportati nella Dichiarazione, sono l’armonizzazione dei titoli di studio per migliorare la competitività dei giovani nel mercato del lavoro, l’adozione di un sistema universitario a due cicli distinti (3+2) e il consolidamento del sistema dei crediti con lo scopo di facilitare la mobilità degli studenti. L’innovazione più significativa a riguardo è sicuramente la creazione dello Spazio Europeo per l’Istruzione Superiore, all’interno del quale i ministri hanno imposto una serie di modifiche ai governi che prevedono l’introduzione di un sistema di titoli comparabili e comprensibili (sistema di tre cicli di primo secondo e terzo livello), garanzia di trasparenza dei corsi di studio tramite un sistema comune di trasferimento crediti e pieno riconoscimento dei periodi e dei titoli di studio. La gestione del processo è affidata ai Ministri dell’istruzione superiore dei paesi partecipanti che si incontrano ogni due o tre anni.
Il percorso che ha portato al consolidarsi del processo e alla nascita dello Spazio Europeo per l’Istruzione Superiore è stato caratterizzato soprattutto da una stretta cooperazione tra governi, istituzioni di istruzione superiore, docenti universitari, studenti e personale, oltre a rappresentanti del mondo del lavoro. L’obiettivo di raggiungere la comparabilità dei titoli universitari, di favorire la mobilità tra paesi e l’assicurazione della qualità degli studi ha permesso un avvicinamento anche dei sistemi universitari europei che, pur mantenendo le proprie particolarità in termini di organizzazione, risultano oggi molto più simili rispetto al passato. L’università italiana, dunque, ha dovuto adattare il proprio sistema al nuovo approccio europeo, maggiormente rivolto all’autonomia dei singoli atenei.
La struttura iniziale del sistema universitario italiano era piuttosto semplice: al vertice si trovava il Ministero della Pubblica Istruzione, supportato da due organismi rappresentativi del mondo dell’Università: il Consiglio nazionale universitario (CUN), che si occupava di definire le linee guida della didattica e della ricerca, e la Conferenza dei Rettori delle Università italiane (CRUI), con funzioni perlopiù di consulenza. La governance interna degli atenei, basata su quanto previsto dalla legge n.382 del 1980 e relativi aggiornamenti, prevedeva un Senato Accademico, composto dai Presidi di Facoltà, e un Consiglio di Amministrazione composto da personale accademico con funzioni di gestione finanziaria. Al vertice della struttura vi erano il Rettore e il Direttore Amministrativo. Ma quanto è cambiata dunque l’università italiana per seguire l’Europa?
L’attuale modello di governance e di organizzazione dell’università è stato introdotto con la legge 1/240 del 2011 (in particolare gli articoli 1 e 2), come parte integrante di un progetto più ampio di rinnovamento del sistema universitario finalizzato a valorizzare l’autonomia, la gestione responsabile ed efficiente, e il merito, seguendo un modello sempre più vicino a quello manageriale.La novità principale introdotta nel nuovo millennio ha riguardato l’autonomia delle singole università e dei Dipartimenti, con l’idea di avvicinarsi sempre di più al modello aziendalistico anglosassone più flessibile e meritocratico, ma soprattutto più vicino ad un mercato del lavoro competitivo che richiede agli studenti competenze sempre più specifiche. Quello che ci si chiede adesso è se l’università italiana sarà in grado di vincere la sfida dell’Europa, fornendo ai giovani gli strumenti adatti ad affrontare il futuro.
Laureata in Studi europei presso l’Università di Firenze e Master in Politiche e Management delle Pubbliche Amministrazioni presso la LUISS “Guido Carli” di Roma
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Bibliografia
Capano, G., Regini, M. (2011), Tra didattica e ricerca: quale assetto organizzativo per le università italiane? Le lezioni dell’analisi comparata, Fondazione CRUI;
Garben, S. (2008), The Bologna Process. From a european law perspective, in EUI working paper;
Mignone, A. (2005), The europeanization of public policies. The case of higher education and the Bologna Process, paper presentato durante la Conferenza internazionale Tempus Tacis Joint European Project 2304/2002, 5-13 Febbraio;
Rebora, G., Turri, M. (2008), La governance del sistema universitario in Italia; 1989-2008, in Liuc Papers n. 221, Serie Economia aziendale 32;
Teichler, U. (2008), Diversification? Trends and explanations of the shape and size of higher education, in Higher Education.
Sitografia
http://www.processodibologna.it/
http://www.ehea.info/
Finalmente un’università che sia davvero un uni-verso… al passo coi tempi, ménage-riale ed attenta alle esigenze del mercato del lavoro
Grazie Marco per il tuo commento all’articolo. La quasi totalità degli studenti è indirizzata verso un tipo di università come hai segnalato tu, speriamo che questa posizione possa essere ascoltata!