La relazione fra sport e pedagogia sembra accostare due mondi completamenti opposti fra loro, ma non è così. Lo sport ha un compito educativo e formativo fondamentale proponendo principi, finalità, strategie e metodologie correlate ed interdipendenti ai valori pedagogici.
Il termine pedagogia dello sport fu usato in Germania negli anni 70 del secolo scorso da Omno Group ( Fondamenti di pedagogia dello sport) per indicare quel sapere che si occupa dei problemi educativi nelle attività motorie e sportive. Sono stati tanti gli studiosi da John Locke a Rosseau, da Kant a Pestalozzi che hanno affrontato tale tematica nelle loro opere. Tuttavia, la pedagogia dello sport è una disciplina recente che in Italia ha avuto poca fortuna accademica.
Marcello Lippi, allenatore della nazionale di calcio campione del mondo 2006, sostiene chelo sport sia educativo suo malgrado (Il gioco delle idee 2008); sebbene l’educazione non sia il suo fine principale, prepararsi per vincere è potenzialmente un percorso formativo in questo senso. Infatti, la pedagogia dello sport è una pratica educativa che studia le attività sportive nei vari contesti formali, non formali e informali degli agenti educativi ( scuola, famiglia, enti sportivi) che favoriscono l’educazione motoria e la valorizzazione del corpo.
In Italia e in gran parte del mondo lo sport più diffuso ed amato è il gioco del calcio. Pasolini lo definì addirittura come “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” (Giorno 1971), a sottolineare oggi come allora, l’immenso valore che vi si attribuisce. Può dunque il calcio avere una finalità pedagogica?
La Lega Calcio italiana dal 2004 ha concepito lo sport in chiave formativa e non solo tecnica, al fine di attuare una riflessione multisettoriale per quanti operano nel settore sportivo, quale scenario educativo. Lo sport non è pura fisicità, né puro agonismo, ma è fonte ed ambito di esperienze emozionali, cognitive, relazionali che accompagnano l’essere umano a più livelli di partecipazione sociale ed insegna anche a scoprire i propri limiti, la sofferenza, la sconfitta, il piacere e all’affermazione del proprio Sé.
Il calcio ha valenza pedagogica perché è componente essenziale del nostro vissuto, trasmettendo tutte le regole fondamentali della vita sociale, con i suoi valori educativi fondamentali quali tolleranza, integrazione, spirito di squadra e di sacrificio, la lealtà, il rispetto, l’accettazione della sconfitta, permettendo di sviluppare la personalità, il temperamento, l’affettività, le abilità cognitive.
Tuttavia, il calcio può coltivare anche pericolose ed incontenibili tendenze che ne contaminano il valore autentico: falsi miti con il rischio di contribuire alla idolatria ed alla mercificazione della propria immagine corporea, eccessiva spettacolarizzazione, violenza efferata, narcisismo, doping, antisemitismo, omofobia, scommesse.
Già Christopher Losh nella sua opera Cultura del narcisismo ( 1979) affermava che la degenerazione dello sport moderno sia causata dal dis-play o play esasperato che distrugge le proprietà ludiche, culturali ed educative dello sport con una competitività eccessiva, esclusione dei più deboli e dei meno dotati. Ed è proprio così. La cronaca è piena di episodi raccapriccianti di violenza inaudita come l’uccisione dei tifosi napoletani Ciro Esposito e Sergio Ercolano, del laziale Gabriele Sandri, dell’ispettore Raciti e altre vittime, al lancio di bombe carte, calche nelle tribune che hanno causato molti morti, sassaiole contro i pullman. Non mancano episodi di intolleranza come la distribuzione, avvenuta qualche mese fà, allo stadio capitolino di una figurina adesiva di Anna Frank – la ragazzina del celebre diario, vittima dell’Olocausto, con la maglia giallorossa per insultare i tifosi romanisti.
L’occasione della manifestazione sportiva è stata scelta perché considerata una favorevole opportunità per diffondere a mezzo slogan invettive razziste o xenofobe, comunicazioni che non hanno nulla a che fare con lo sport ma infieriscono solo sulle istituzioni, sullo stato e sulla coscienza dell’uomo. Le motivazioni a questi atti vili, vanno ricercate al di la dell’evento sportivo, in quanto sono lo specchio della società attuale: disoccupazione, disagio giovanile, nevrosi, omofobia, istinto di aggressività, antisemitismo, sono le spiegazioni più accreditate, ma è palese che esista un problema educativo in quanto l’individuo in fuga dal sociale in una età epoca di disillusioni collettive manifesta la sua rabbia nella violenza. (Losh 1979) C’ è disagio, prepotenza, frustrazione negli atti degli hooligans , i fischi o i “booh!” ai giocatori di colore o dei paesi dell’est Europa, al coro di inneggio all’eruzione del Vesuvio, del lancio delle bottiglie o addirittura automezzi dalle tribune dello stadio.
Anche gli stessi giocatori che dovrebbero essere esempio di fair play e lealtà spesso sono protagonisti di episodi violenti amplificati dall’impatto planetario dei media, dei social, del web. I problemi causati dal calcio violento, vanno affrontati in ottica multidimensionale, coinvolgendo tutti gli attori coinvolti dalle Istituzioni, alla Lega calcio, dalle società dalla professioniste alle dilettantistiche, agli oratori di paese, alle scuole. I politici, i dirigenti, gli allenatori, gli educatori i genitori devono avere la consapevolezza della responsabilità , dell’etica e dei valori sportivi essendo garanti di educazione e crescita della personalità umana, solo allora il calcio potrà collocarsi al centro del contesto sociale, generando benessere nelle giovani generazioni, come diceva Piaget, solo l’educazione è capace di salvare le nostra società da un possibile collasso, violento oppure graduale.
E’ una utopia inserire un pedagogista in uno staff calcistico?
In Italia, nel 2016 l’Inter ha fatto da apripista assumendo nel propria équipe un pedagogista, sottolineando l’importanza dell’intervento educativo per analizzare:
- i fattori cognitivi dell’atleta e della sua performance;
- i sistemi di pensiero o di credenze;
- le decision-marking (processi sottostanti alle decisioni);
per favorire:
- il problem–solving (soluzioni dei problemi);
- il miglioramento delle performance atletica;
- la mentalità e la cultura dell’impegno nella realizzazione dei propri obiettivi;
e per fornire:
- un supporto nella costruzione della conoscenza dei propri mezzi
- un valore aggiunto nella attuazione dei metodi messi in atto per raggiungere gli obiettivi.
A maggior ragione, sarebbe auspicabile un impiego sempre crescente di professionisti dell’educazione già nei vivai, affiancando le nuove generazioni. Gli adolescenti in perenne sfida con se stessi tra disagi, tentazioni e tecnologie, devono trovare nello sport sostegno e fiducia. Il calcio giovanile è una palestra globale che può fornire loro strumenti per affrontare non solo le sfide sportive ma anche la vita nel migliore dei modi.
Bibliografia
Farinelli G., 2005, Pedagogia dello sport ed educazione della persona, Perugia, Morlacchi
Garcea F., 2005, Il calcio. Conoscerlo per insegnarlo, Editore www.Allenatore.Net
Isidori E., 2009, La pedagogia dello sport, Roma, Carocci
Isidori E., 2017, Pedagogia e sport. La dimensione epistemologica ed etico-sociale, Milano, FrancoAngeli
Lasch C.,2001, La cultura del narcisismo, Milano, Bompiani
Lippi M.,2008, Il gioco delle idee. Pensieri e passioni a bordo campo, Editore San Raffale
Siragusa W., 2016 Murabito M., Olla D., Educazione e sport. Riflessioni pedagogiche sul mondo del calcio, Ravenna, Editore La Moderna
Sitografia
http: //www.pierpaolopasolini.it/ilcalciosecondopasolini
http//: calcio informazione.it
http://www.interruzioni.com/calciopasolini.htm intervista integrale di Pasolini sul quotidiano Il giorno, del 3 gennaio 1971 ( Il calcio “è” un linguaggio con i suoi poeti e prosatori)