Assistenza Domiciliare Minori: come si può stendere un progetto educativo?



In ambito educativo, l’Assistenza Domiciliare Minori (ADM) è uno dei primi lavori che vengono proposti da una cooperativa; è uno di quegli interventi che vengono affidati per aumentare il monte ore settimanale di un educatore/trice. È uno di quei lavori con un alto rischio di “ma sì, stai con il ragazzo e fai qualcosa insieme a lui”, uno di quei lavori in cui sei lasciato da solo a interagire con un minore e con il suo mondo all’interno, con il rischio di perdere di vista l’intento e l’importanza di una progettualità educativa ben definita.

L’ADM è, infatti, quell’intervento di affiancamento di un minore in orario extrascolastico con finalità educative dedicate. Il lavoro è spesso attivato da un assistente sociale nei confronti di minori segnalati dalla tutela o a seguito di una situazione emergenziale di devianza.  

L’educatore/trice si troverà, dunque, a lavorare con un minore per diverse ore a settimana (solitamente dalle quattro alle dieci) e dovrà rapportarsi al soggetto e alla sua famiglia, proponendo interventi e attività specifiche. La durata cambia in base alla situazione; può andare da alcuni mesi fino a un intero anno scolastico.

Quanto più sono le ore svolte e il tempo di lavoro, tanto più aumenta il rischio di lavorare “a caso”, perdendo di vista il progetto educativo pensato e gli obiettivi; questo a svantaggio dell’importanza e del senso della presenza di una figura educativa di affiancamento. Per questo motivo, risulta essenziale, da educatore/trice, avere sempre a mente il progetto d’intervento e sarà, dunque, importante delineare e tener traccia di quello che si sta mettendo in atto. A tal proposito verrà qui proposto un modello per redigere e utilizzare costantemente un progetto educativo per non perdere di vista il senso di questo percorso. Verranno, dunque, delineati:

  • Le osservazioni iniziali;
  • Gli obiettivi educativi;
  • Le attività;
  • Quanto previsto per quel giorno;
  • Le informazioni per l’incontro svolto;
  • La valutazione;
  • La conclusione.

Iniziare ad avere un quadro della situazione in cui ci s’inserirà è sicuramente il primo passo per poter cominciare il lavoro.

Dopo la segnalazione, verrà attivato l’intervento di ADM. A questo punto, auspicabilmente, verrà fatto almeno un incontro (o più; potrebbe essere previsto e pensato anche un incontro con la scuola,  o con servizi in cui il ragazzo è già inserito) con l’assistente sociale, il minore, la famiglia per presentare il lavoro che si andrà a svolgere. Verrà, dunque, presentata la realtà attuale e il motivo del contatto. Per l’educatore/trice sarà essenziale ascoltare, prendere tutte le informazioni per iniziare ad avere un quadro della situazione. A seguito degli incontri, si può cominciare ad appuntarsi le osservazioni iniziali, sia rispetto al clima e al contesto generale, sia rispetto al minore e ai componenti della famiglia. Può essere utile anche iniziare a definire quelli che sono gli obiettivi concordati con l’assistente sociale e la famiglia, e quelli che noi, come educatori/trici, riteniamo siano essenziali. È importante segnarsi la data in cui avviene l’incontro e il momento in cui sono state scritte le prime osservazioni, in quanto potrebbero, nel corso del tempo, modificarsi.

A questo punto, verrà fissato un primo incontro con il ragazzo/a. Solitamente, si viene accolti in casa propria e questo implica che si entrerà in contatto anche con la famiglia; come ricorda Formenti (Cfr. Formenti, 2013) ogni individuo non è un essere separato dal resto ma è immerso in diverse relazioni sociali, e quelle che si instaurano in casa risultano parte pregnante della stessa identità.

Allo stesso tempo, bisogna tenere conto che il ragazzo/a non sarà sempre ben disposto ad avere una figura al proprio fianco; si chiederà chi è, potrà opporsi ecc.. per questo sarà importante iniziare a instaurare una relazione di fiducia e rendere chiara la motivazione di questa presenza.

Proprio per questo è importante non muoversi “casualmente”; a questo avviso è utile avere in mente e chiedersi il perché di ogni gesto, e, concretamente, chiedersi che cosa  distingue noi da un amico o un/a baby sitter.

In questo senso, bisogna tenere a mente e fissare degli obiettivi educativi che si crede si debbano raggiungere. Questi, certamente, non possono essere definiti a priori ma è solo stando nella situazione che potranno emergere. Inoltre, è importante discutere con il ragazzo/a rispetto al progetto; in questo senso «gli attori coinvolti diventano soggetti della ricerca in collaborazione con i “tecnici” per studiare scientificamente la loro situazione, i loro problemi ed elaborare insieme le soluzioni» (Monasta, 1997, p.54).  Quest’idea riprende il pensiero di Bateson (Cfr. Bateson, 2000) secondo cui ognuno guarda se stesso e il mondo attraverso le proprie cornici; potremmo, dunque, non avere lo stessa visione quindi è necessario darsi voce e confrontarsi. In questo senso, è importante «trattare le persone come esseri umani nella loro interezza: soggetti creativi capaci di conoscere, piuttosto che depositari di “dati” da estrarre e poi interpretare per conto nostro» (Merril e West, 2012, pag. 64).

A tal proposito è possibile negoziare anche attività da svolgere, che devono cercare di promuovere e raggiungere gli obiettivi fissati. Non ci sono idee stabilite a priori; in base a quello che emergerà si potranno pensare attività come, ad esempio, cucinare insieme, andare al cinema, leggere e ascoltare il testo di una canzone.

Quello che dovremo, però, costantemente chiederci è il perché rispetto a una precisa scelta: dove si vuole arrivare? E così un educatore/trice deve avere, per non cadere nel rischio di casualità, la capacità che Schon (Cfr. Schon, 1993) chiamava di “reflection on action” (riflessione sull’azione), interrogandosi sulla motivazione di determinate scelte in programma. In questo senso, prima di ogni incontro, è utile riportare e avere a mente schematicamente quanto è stato previsto per quel giorno. Allo stesso tempo, sarà utile acquisire la capacità di “reflection in action” (riflessione in azione), rimanendo lucidi, senza perdere il senso, anche durante l’incontro, con la possibilità eventuale di ritornare su questioni non immediatamente discusse in momenti precedenti (è importante, anche in questo caso, riportarle per non dimenticarsene). Appuntarsi le informazioni per ogni incontro avvenuto risulta, dunque, fondamentale per seguire gli sviluppi e raggiungere gli obiettivi prefissati.

Osservare, riflettere, agire sono, dunque, movimenti essenziali per un educatore/trice. Documentare, tener traccia di quanto fatto e di quanto successo, serve a mantenere la direzione che si è intrapresa. La valutazione, di pari passo, come riporta Bezzi (Cfr. Bezzi, 2016), non sarà allora una mera analisi finale di quanto svolto ma sarà un processo continuo in itinere. Monitorare permetterà di seguire man mano gli sviluppi del percorso e si arriverà anche a delineare una conclusione, nel momento in cui il nostro intervento, da educatore/trice, non sarà più necessario (Leone, Prezza, 2003).

Di pari passo, quindi, si muoveranno e svilupperanno azioni e riflessioni, utilizzando la documentazione e la scrittura come mezzo di congiunzione tra le due (Cfr. Palmieri, 2008), favorendo un intervento educativo che non perda di vista il senso educativo che si vuole veicolare.

Silvia Serena Brambilla

Info

 

 

 

Bibliografia

Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adephi Editore, 2000.

Bezzi C., Cos’è la valutazione, FrancoAngeli Editore, 2016.

Formenti L., Re-inventare la famiglia, Apogeo, 2013.

Leone, Prezza, Costruire e valutare i progetti nel sociale, FrancoAngeli, 2003.

Monasta A., Mestiere: progettista di formazione, Carocci Editore, 1997.

Merril B. e West L., Metodi biografici per la ricerca sociale, Apogeo, 2012.

Palmieri C., Non di sola relazione, Mimesis, 2008.

Schon D. A, Il professionista riflessivo, Dedalo, 1993.

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