Perché e come la relazione evolve nel tempo? Uomini e donne sono naturalmente predisposti alla monogamia o è una forzatura sociale?
Ogni emozione ha i suoi correlati neuronali e l’amore non fa eccezione: grazie alla risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la PET, è stato possibile studiare l’attività cerebrale degli innamorati. Gli ormoni che intervengono sono:
- vasopressina: aumenta le reazioni di paura e stress soprattutto nelle prime fasi della relazione (Carrasco e Van de Kar, 2003) in cui, con l’incertezza dei primi tempi, predominano ansia e pensieri intrusivi, mostrando similitudini con il disturbo ossessivo compulsivo (Marrazziti, 1999). Come dicono Esch e Stefano (2005), infatti, «innamorarsi ci fa sentire bene, “fuori dal mondo” nel pensare sempre e ossessivamente alla persona amata».
- ossitocina: è definito “l’ormone della fiducia” poiché induce sentimenti di lealtà e devozione nella coppia, fondamentali per relazioni intatte, benefiche e durature (Keri and Kiss, 2007). Nelle relazioni a lungo termine ha un effetto ansiolitico, permettendo una riduzione dei livelli di stress e un aumento delle sensazioni di sicurezza.
- dopamina: rende l’amore un’esperienza gratificante (Young e Wang, 2004), consente la formazione di nuovi legami e mantiene la stabilità in quelli già esistenti.
- testosterone: è implicato anche nel comportamento sociale come l’aggressività (Struuber, 2008), la difesa (van Anders, 2011) e l’intimità sessuale (Wingfield, 1990). Nelle prime fasi della relazione le sue concentrazioni variano in direzioni opposte nei due sessi: gli uomini innamorati dimostrano livelli di testosterone decrescenti, mentre le donne nelle stesse condizioni producono più testosterone.
Le relazioni romantiche evolvono nel tempo: le prime fasi dell’amore, come l’innamoramento e la relativa eccitazione, sono distinte dalle fasi successive o anche da relazioni di lunga durata (Esch & Stefano, 2005). In accordo con la “Teoria triangolare dell’amore” (Stenberg, 2007) ci sono tre componenti dell’amore:
- Passione
- Intimità
- Impegno.
Gli psicologi hanno definito tre differenti fasi nelle relazioni d’amore (Garcia, 1998):
- Innamoramento
- Amore passionale
- Letteralmente “companionate love” (che dà l’idea di equilibrio, complicità, armonia).
Fase 1: Innamoramento
Questa fase è caratterizzata da fortissima passione, intimità e impegno ed è una fase relativamente breve (dura circa per i primi 6 mesi); sono presenti eccitazione e, a causa dell’insicurezza, stress (Berscheid, 2010). Biologicamente i livelli di cortisolo sono alti, bassi quelli della serotonina.
Fase 2: Amore passionale
E’ una fase dominata da sensazioni di sicurezza e calma (Starka, 2007); la passione resta alta e l’intimità e l’impegno continuano ad aumentare costantemente. L’ossitocina e la vasopressina giocano un ruolo fondamentale, permettendo la formazione di legami saldi e un miglioramento della salute (Esch e Stefano, 2005). Questa fase dura qualche anno prima di evolvere nel companionate love.
La fine di questa fase coincide con quella che Helen Fisher (1992) chiamava “4 years itch” ossia “prurito dei quattro anni”. La Fisher, studiando i dati sui divorzi nelle differenti culture, riportò un sostanziale aumento di divorzi nel quarto anno di matrimonio e sviluppò questa teoria ritenendo che i legami umani siano fatti per durare circa quattro anni, ossia il periodo in cui la prole è più vulnerabile. A prova di ciò trovò che questo periodo poteva essere esteso da quattro a sette anni nel caso in cui la coppia avesse più di un figlio. Ne risulta che il passaggio dalla seconda alla terza fase dell’amore è un periodo particolarmente fragile in una relazione.
Fase 3: Companionate love
Questa fase è caratterizzata da un decremento della passione, ma intimità e impegno restano elevati: la relazione d’amore è a tratti leggermente simile all’amicizia. L’ossitocina e la vasopressina sono sempre gli ormoni dominanti, assicurando il legame nella coppia. Non tutte le relazioni evolvono necessariamente in questa fase: molte finiscono prima! Quando l’intimità e la passione sono molto bassi e resta solo l’impegno, il risultato è quello che Stenberg definisce “amore vuoto”. Nonostante ciò, molte coppie rompono questa situazione: se l’impegno in una relazione è abbastanza forte, la coppia riesce a restare insieme.
Tuttavia – e finalmente una buona notizia! – molte coppie sostengono di essere ancora appassionatamente innamorate anche dopo 20 anni di matrimonio! Ciò indica che alcune relazioni possono non evolvere mai nella terza fase, ma restare nelle fasi iniziali.
Il fatto che un terzo dei matrimoni finisca col divorzio e l’elevata frequenza di tradimenti ci fanno porre una domanda: ma gli uomini e le donne sono fatti per la monogamia?
De Boer, Buel & Ter Horst (2012) hanno riscontrato che ci sono molte indicazioni che farebbero optare per una non-monogamia dell’essere umano.
Innanzitutto, ricerche psicologiche mostrano che la soddisfazione coniugale è inversamente correlata alla durata del matrimonio (Berscheid, 2010) e molti matrimoni sfociano nel divorzio (Kalmijin, 2007); ci sono momenti fragili in una relazione in cui la rottura è più che frequente (il “prurito dei 4 anni” della Fisher ne è un esempio).
Entrambe le osservazioni indicano che ci sono meccanismi che portano alla rottura delle relazioni, suggerendo che gli esseri umani non siano naturalmente inclini ad una forma di attaccamento “per tutta la vita” e che siano più simili alle specie non monogame rispetto a quelle monogame (Barash e Lipton, 2002).
Tuttavia, alla domanda se siano o meno monogami è difficile rispondere, poiché uomini e donne mostrano chiari tratti di monogamia sociale (legami durevoli, cooperazione nella crescita dei figli) ma sembra improbabile che siano naturalmente inclini alla monogamia sessuale. Sarebbe quindi più giusto parlare di “monogamia seriale” (tipicamente quando una coppia divorzia e i coniugi si risposano formando nuove coppie), anziché parlare erroneamente di “non-monogamia”.
La monogamia umana è ancora un argomento delicato; un fattore che interviene è la cultura, che gioca un ruolo importante nel comportamento sessuale umano ed è estremamente difficile separare l’effetto culturale dalla natura umana.
La prossima volta che sentiremo un nostro amico lamentarsi del fatto che il partner è cambiato e che “non c’è la passione dell’inizio”, adesso sappiamo cosa dirgli: la colpa è dell’ossitocina (ma è anche la ragione per cui non ti tradisce … forse!).
Giusy Panarella
Bibliografia
De Boer, A., Van Buel, E. M., & Ter Horst, G.J. “Love is more than just a kiss: a neurobiological perspective on love and affection” in Neuroscience, 201, 114-124 (2012).
Esch, T. & Stefano, G. “The neurobiology of love” in Neuroendocrinology letters, 26 (3), 175-192 (2005).
Zeki, S. “The neurobiology of love” in FEBS Letters, 581, 2575-2579 (2007).