Se vi fosse chiesto di uccidere un uomo, sareste capaci di farlo? La risposta che probabilmente ci accomuna tutti è no, eppure non bisogna andare molto a ritroso nella storia per trovare qualcuno che ha, invece, risposto sì, senza alcun rimorso. Alcuni studiosi si sono interrogati su questo argomento e grazie a loro siamo venuti a conoscenza di alcuni inaspettati lati del nostro modo di agire che potrebbero lasciare a bocca aperta.
Lo psicologo Stanley Milgram, negli anni Sessanta, fu molto colpito dal processo di Adolf Eichmann, uno dei luogotenenti di Hitler, il quale dichiarò, per discolparsi dei reati di guerra commessi, che aveva semplicemente eseguito gli ordini che gli erano stati assegnati. Questo caso interessò particolarmente anche Hannah Arendt, la quale scrisse un saggio, “La Banalità del Male”, in cui descrisse Eichmann come una persona perfettamente normale, non un mostro, semplicemente qualcuno calato completamente nella sua parte di soldato (Arendt, 1964). A seguito di questo processo, Milgram decise di tentare un esperimento per verificare quanto effettivamente le persone comuni fossero disposte ad obbedire ad un’autorità. I volontari che decisero di partecipare a questo studio furono arruolati nelle vesti di insegnanti, col compito di aiutare degli allievi (per loro altri partecipanti, ma, in realtà, collaboratori consapevoli dello sperimentatore) ad apprendere una lista di parole. In caso di errore gli insegnanti dovevano somministrare scosse elettriche (che ovviamente non raggiungevano veramente gli allievi) che partivano da un minimo di 15 volt fino ad un massimo di 400. In caso di protesta o esitazioni, lo sperimentatore esortava i soggetti ad andare avanti nel compito con frasi autoritarie e pressanti (Palmonari e Cavazza, 2012).
I risultati ottenuti furono sorprendenti: il 65% dei partecipanti somministrò le scosse elettriche fino al massimo voltaggio. Milgram attribuisce questo alto livello di obbedienza a diversi fattori:
- L’insegnante viene a trovarsi in un sistema di autorità nel quale non è più responsabile delle sue azioni, ma solo esecutore di una volontà altrui.
- Lo sperimentatore viene percepito come autorità assoluta, con piena consapevolezza degli ordini impartiti, delle loro motivazioni e delle loro conseguenze.
- Lo stesso laboratorio, visto come spazio di competenza dello sperimentatore influisce a creare un’atmosfera di autorità. Inoltre il soggetto si è presentato come volontario e quindi sente l’obbligo di portare a termine il compito assegnatogli.
Gli studi di Milgram sono stati recentemente rivisti da Hollander, un laureato dell’università del Wisconsin, il quale, dopo aver effettuato una più approfondita analisi delle registrazioni audio dei precedenti esperimenti ne ha proposto una nuova lettura. Secondo Hollander infatti bisognerebbe considerare non solo la reazione di obbedienza, ma anche le strategie messe in atto da coloro che si sono opposti (Pancrazi, 2015).
Coloro che non si sono fermati hanno applicato delle tecniche di resistenza che sono uguali a quelle applicate da coloro che si sono opposti: alcune di queste tecniche non sono esplicite (lunghi silenzi, risate isteriche, sudore ed esitazione), altre invece furono più palesi come esprimere il proprio disagio allo sperimentatore oppure inveire contro il macchinario che emette le scosse elettriche (Pancrazi, 2015). La differenza sostanziale tra coloro che portarono a termine la prova e coloro che invece si opposero sta principalmente nei tempi di attivazione di tali tecniche: quelli che alla fine obbedirono le misero in atto più tardi e con meno convinzione, al contrario di chi si oppose.
Douglas Maynard, professore di sociologia presso l’Università del Wisconsin, ha aggiunto che anche coloro che alla fine hanno obbedito in realtà stavano combattendo contro qualcosa che ritenevano sbagliato, non si sono piegati ad una cieca obbedienza (Pancrazi, 2015). Ed è questo che gli studiosi vedono come un possibile risvolto futuro di questi esperimenti. Si ritiene che se si riuscisse ad abituare le persone, con training appositi, alla messa in atto di determinate tecniche di resistenza, si potrebbero evitare in futuro atti inumani dovuti ad una mera obbedienza (Pancrazi, 2015).
Ma non è necessariamente una situazione eclatante, come ad esempio la Shoah, a produrre questo genere di effetto. In realtà questo discorso può applicarsi ad un qualsiasi contesto in cui esiste un rapporto autorità/sottomissione, come ad esempio il rapporto insegnante/allievo nel quale una giusta dose di subordinazione e rispetto è necessaria, ma al contempo si deve conservare una buona parte di autonomia per cui in caso di necessità l’allievo sia in grado di ribellarsi per motivazioni etiche, sociali e morali (Pancrazi, 2015).
Per concludere, gli studi di Milgram hanno avuto un ruolo fondamentale nel cancellare l’idea che la violenza o le azioni dannose siano ricollegabili alla sola psicopatologia e non alle specifiche situazioni in cui gli individui si trovano ad agire. La stessa Arendt nel suo saggio sosteneva che crimini come quelli commessi dai nazisti sono semplicemente il risultato di un lavoro di routine eseguito da persone qualunque senza particolare odio o forti sentimenti negativi (Arendt, 1964)
Una famosa citazione di Milgram recita così: «Gente normale, che si occupa soltanto del suo lavoro e che non è motivata da nessuna particolare aggressività, può, da un momento all’altro, rendersi complice di un processo di distruzione. Ancora più grave è il fatto che la maggior parte di loro non ha le risorse necessarie per opporsi all’autorità, anche quando si accorge di compiere atti malvagi in contrasto con le più elementari norme morali. Entra in gioco tutta una gamma di inibizioni che impediscono la rivolta e provocano la sottomissione all’autorità» [Milgram, 1974, 20].
Bibliografia
Arendt H., La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, 1964.
Milgram S., Obedience to authority; an experimental view, Harpercollins, 1974.
Pamonari A., Cavazza N., Ricerche e Protagonisti della Psicologia Sociale, Bologna, Il Mulino, 2012.
Sitografia
Obbedienza all’Autorità: una nuova ricerca approfondisce gli studi di Stanley Milgram