Il termine asessuale, fino al 2001, veniva prevalentemente impiegato per indicare i pattern riproduttivi di organismi unicellulari. È proprio nel 2001 che lo studente David Jay creò il primo (e ad oggi più famoso) forum-network per persone asessuali1 dando nuova vita a questo termine. Da questo momento le persone asessuali hanno iniziato a riunirsi virtualmente, al fine di scambiarsi esperienze, informazioni e conoscenze e sono riuscita ad attivare un processo di rivendicazione del riconoscimento dell’asessualità come identità sessuale.
La comunità LGBT+ ha accolto questa minoranza sessuale, come altre, ampliando il proprio acronimo in LGBTQIA+2. Dalla visibilità che la comunità asessuale ha ottenuto è derivato anche un crescente interesse da parte del mondo accademico in ambito medico, psichiatrico e psicologico. La ricerca ha tentato di rispondere ad alcune questioni circa l’identità a-sessuale, riassumibili nella domanda: chi sono le persone asessuali?
L’asessualità viene oggi considerata una delle possibili identità sessuali e non più un fenomeno strettamente legato al “fare” (o non fare) sesso. L’attenzione degli studiosi si è spostata infatti dal fare all’essere, in questo caso quindi essere o meno asessuali (Scherrer, 2008). Definendola come identità sessuale inoltre può raccogliere esperienze comuni e motivare azioni politico-sociali mirate al suo riconoscimento (Ibidem). Questo tipo di azioni politico-sociali possono essere racchiuse in alcuni passi significativi del processo di rivendicazione quali il riconoscimento della propria identità sessuale, l’identificazione con la comunità, il coming out e l’orgoglio identitario (Bogaert, 2015).
L’asessualità, secondo il forum AVEN, può essere definita come “l’assenza di desiderio o attrazione sessuale“. Sono quindi asessuali quelle persone che non hanno fatto o non fanno esperienza di desiderio sessuale o attrazione sessuale. Il termine asessualità può anche essere usato come termine ombrello (Carrigan, 2011): alcune persone asessuali riportano infatti di aver fatto esperienza dell’attrazione nei confronti di qualcuno ma senza la componente della sessualità. Tale attrazione potrebbe, per questi motivi, essere definita romantica o emotiva; altri invece riportano di essere attratti esteticamente da qualcuno ma non aver nessun desiderio né sessuale né romantico nei suoi confronti (Ibidem). A tal proposito sono, infatti, state formulate etichette linguistiche riferite all’identità asessuale, come, ad esempio, demisessuale.
Le persone che si definiscono demisessuali differenziano tra la componente sessuale e quella romantica/emotiva. Possono infatti avere desiderio o attrazione romantica per le persone, possono desiderare relazioni emotivamente e romanticamente intime che non prevedono contatti sessuali. I contatti fisici tuttavia possono o meno essere desiderati quando non implicano atti sessuali (es. abbracci, carezze ecc.) (Ibidem).
Le persone demisessuali possono avere un orientamento romantico (e non sessuale) di vario tipo e quindi definirsi etero-, omo-, bi-, pan- romantici. L’asessualità, infine, si differenzia dal celibato o dall’astinenza sessuale poiché non è una scelta ma, come ripetuto più volte, un’identità sessuale al pari di altre identità sessuali già conosciute e ri-conosciute dalla società (omosessualità, transessualità ecc.).
Nella popolazione generale vi è una presenza di persone asessuali che oscilla tra lo 0.4% e il 2%, non superando il 3% (Brotto, Yule, 2016). Tra le persone che si definiscono asessuali, la maggioranza è composta da donne. Probabilmente queste cifre rispecchiano i ruoli di genere per cui quello maschile ha una forte componente sessuale (Bogaert, 2004). Questo non significa che le donne, più probabilmente, possono essere asessuali ma che possono definirsi come tali. Allo stesso modo lo studio non ci dice che gli uomini sono in minor percentuale asessuali ma che si riconoscono meno in tale etichetta linguistica. Ciò che può suggerire lo studio è quindi che per gli uomini possa essere più difficile riconoscersi e/o definirsi asessuali dato il ruolo che la sessualità ha nella mascolinità egemonica.
Come è accaduto (e accade ancora) per le altre minoranze sessuali, anche l’asessualità si confronta con il mondo della psicopatologia e della medicina (Scherrer, 2008). Ad oggi il DSM-5 (APA, 2013) differenzia tra le esperienze delle persone asessuali e quelle con disturbi legati alla sessualità. Pone l’asessualità come un criterio di esclusione per le diagnosi di Disturbo del Desiderio Sessuale Ipoattivo e Disturbo del Desiderio Sessuale Ipoattivo femminile (Brotto, Yule, 2016). A differenza di questi disturbi psicopatologici, l’asessualità, al pari delle altre identità sessuali, non comporta di per sé un disagio clinicamente significativo, ansia o avversione per il sesso (Bogaert, 2004).
Nonostante le persone asessuali non si scontrino con credenze morali e/o istituzioni politico-legislative limitanti come le altre identità sessuali, possono fare esperienza di pregiudizi, stereotipi, ostracismo e rifiuto legati alla loro identità sessuale (Ibidem).
Uno studio del 2012 (Macinnis, Hodson, 2012) riporta che tra alcuni studenti universitari, a cui era stato chiesto di valutare vari gruppi sociali, la maggioranza valutava più negativamente le persone asessuali rispetto a persone gay, lesbiche e bisessuali. Il gruppo delle persone asessuali veniva deumanizzato, venivano infatti associati in misura minore tratti considerati propri della natura umana (calore, emozioni, felicità ecc.) rispetto agli altri gruppi sociali.
Questi risultati suggeriscono la presenza di pregiudizi e gli stereotipi delle persone, rivolti alla comunità asessuale, in parte derivante anche dalla patologizzazione dell’identità stessa (GressGärd, 2013).
Ad oggi questa identità sessuale è sempre più riconosciuta, basti pensare al percorso compiuto in soli 17 anni nel mondo accademico e alla presenza di personaggi mediatici come Sherlock Holmes che accennano implicitamente o esplicitamente all’identità asessuale (Bogaert, 2015). Risulta comunque essenziale formare e informare sulle minoranze sessuali dati i disagi psicologici e sociali che queste possono vivere.
1 AVEN The Asexual Visibility and Education Network, reperibile all’indirizzo: www.asexuality.org
2LGBTQIA+ è un acronimo che indica Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali/Transgender, Queer/Questioning, Intersessuali, Asessuali. Il simbolo “+” inoltre indica la possibilità di esistenza di altri orientamenti sessuali e identità sessuali.
Bibliografia
Bogaert, A. F., (2004). Asexuality: Prevalence and associated factors, in a national probability sample. The Journal of Sex Research, 41(3), 279-287.
Bogaert, A. F., (2015). Asexuality: What it is and why it matters. The journal of Sex Research, 52(4), 362-379.
Brotto L. A., Yule, M., (2016). Asexuality: Sexual Orientation, Paraphilia, Sexual Dysfuction or None of the Above? Archive of Sexual Behavior, 46(3), 619-627.
Carrigan, M., (2011). There’s more to life than sex? Difference and Commonality within the asexual community, Sexualities, SAGE Publications, 14(4), 462-478.
GressGärd, R., (2013). Asexuality: From Pathology to identity and Beyond. Psychology and Sexyality, 4, 179-192.
MacInnis, C. C., Hodson, G., (2012). Intergroup bias towards Group X. Evidence of prejudice, dehumanization, avoidance and discrimination asexual. Group Process & Intergroup Relation, 15, 725-743.
Prause, N., Graham, C. A., (2007). Asexuality: classification and Characterization, Archive of Sexual Behavior, 36, 341-356.
Przybylo, E., (2012). Producing Facts: Empirical asexuality and the scientific study of sex. Femminism & Psychology. SAGE Publications, 23(2), 224-242.
Scherrer, K. S., (2008), Coming to an Asexual Identity. Negiotiating Identity, Negotiating Desire. Sexualities, SAGE Publications, 11(5), 621-641.
bè la stragrande maggioranza della popolazione mondiale ha voglia di fare sesso e continuerà ad averla , va accettato. l’esigua minoranza di asessuali va lasciata in pace e rispettata.